Politica

Taranto, i veleni nell’Unione veri alleati del Polo in rimonta

Ripicche e vendette incrociate dietro lo scontro tra i candidati di Ulivo e sinistra radicale

nostro inviato a Taranto

Non c’è veleno che a Taranto non si respiri. Anidride carbonica, diossina e polveri sottili, sputate in quantità record da un’area industriale grande tre volte la città, fanno 1.200 morti di tumore all’anno. Ai miasmi che esalano dall’immondizia ammassata nelle strade, si sono rassegnati persino i turisti: è solo uno degli effetti collaterali del dissesto finanziario del Comune (oltre 700 milioni di debiti). Mancava solo il protossido di azoto. Il gas che ha ucciso almeno quattro pazienti nel vicino ospedale di Castellaneta ora intossica la campagna elettorale a Taranto.
Dopo la tragedia, la rimozione del direttore generale della Asl Marco Urago da parte di Nichi Vendola ha sparso nuovi sospetti nel già diviso centrosinistra (l’Ulivo sostiene l’ex sindacalista Gianni Florido, sinistra radicale ed ex Ds della corrente Mussi il medico Ippazio Stefàno). I ds interpretano la decisione di Vendola come una dichiarazione di guerra. Urago è un loro uomo, anzi il loro uomo nella sanità. «Vendola è molto vendicativo - sospira il segretario ds Enzo Giannico -: è entrato a gamba tesa nella campagna elettorale». Più ellittico, ma non meno chiaro, il candidato ulivista Florido: «Sono certo che se Urago non fosse stato dalla mia parte sarebbe ancora alla Asl».
Riformista non inviso all’establishment industriale, Florido da tre anni guida la Provincia. È della Margherita, ma con sussiego dalemiano spiega perché ha rifiutato le primarie, spaccando l’Unione: «Il presidente della Provincia non si mette in competizione con 10 sconosciuti». Vuole fare contemporaneamente il sindaco e il presidente della Provincia: «A sinistra parlano di emergenza democratica: sono specialisti a sparare cazzate».
L’avversario di sinistra, Stefàno, è un pediatra che ha curato mezza Taranto. Ex senatore del Pci-Pds, ora gravita nella sinistra radicale. Quanto Florido è istituzionale, tanto Stefàno informale. Uno è stato leader Cisl, l’altro volontario in Africa. Uno ti riceve puntuale nel suo comitato elettorale, l’altro manca l’appuntamento perché sta visitando in ospedale. Più tardi ti parla in un bar, addosso una polo sgualcita, anziché presenziare a una conferenza di Rino Formica, organizzata dagli scissionisti Ds.
Gli effetti del voto di Taranto si sentiranno lontano. I Ds sono pronti a presentare il conto a Vendola. La sinistra radicale conta di trasformare la sconfitta del Partito democratico in un caso di scuola. Non a caso il leader di Rifondazione, Franco Giordano, ha minacciato «Dieci, cento, mille Taranto».
Dei veleni tra le due anime della sinistra approfitta il candidato del Polo, l’ex questore Eugenio Introcaso. Al centrodestra travolto dal dissesto finanziario del Comune che gli ha chiesto di scendere in campo ha risposto: «Se si parla di scheletri nell’armadio, io non ho nemmeno l’armadio». Ora batte rioni e borgate denunciando «la transumanza» di una decina tra ex assessori e consiglieri del Polo arruolati dalla sinistra: «Se erano responsabili del dissesto, perché li candidano?». La ritrovata fiducia del centrodestra è confermata dall’attesa per l’arrivo di Berlusconi, giovedì direttamente da Atene. Ha promesso di portare il trofeo della Champions League.
La partita è riaperta, assai probabile il ballottaggio. Ne è convinto anche Giancarlo Cito («Ci andremo io e Stefàno»). Il telepredicatore che nel ’93 diventò sindaco a furor di popolo ha scontato 4 anni di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa ed è tornato in pista. Non potendo candidarsi direttamente, lo fa attraverso il figlio Mario, «tanto è la stessa cosa». Ha riacquistato gran parte dei 56 chili persi in carcere («Altri 2 mesi e sarei morto»), si è laureato in legge («Ero un geometra, sono un modesto giurista») e nel quartier generale televisivo vive una sorta di reality show: una telecamera al seguito e dirette-fiume come ai bei tempi.
Chi vince più che un sindaco sarà un curatore fallimentare. Causa dissesto, a luglio il Comune non avrà più soldi per pagare gli stipendi. Le tasse sono al massimo, i servizi ridotti al minimo, le opere pubbliche bloccate. Il museo archeologico chiuso, la villa Peripato in abbandono. Di sera si spegne l’illuminazione pubblica a turno nelle strade.

E Taranto si ritrova al buio a respirare i suoi veleni.

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