Tariffe, Prodi fa promesse a buon mercato

L’Enel dovrebbe cedere quote in Italia per sfidare i colossi europei. E Rai «potenziata» con meno pubblicità

Gian Maria De Francesco

da Roma

«Nel programma dell’Unione assurdità non ce ne sono e io ne sono il garante». In tono assertorio martedì scorso Romano Prodi ha ribadito l’inequivocità del programma di governo dell’Unione. Le 281 pagine, partorite dopo lunga gestazione dai responsabili degli undici partiti che compongono il centrosinistra, dovrebbero appunto proporre l’agenda della coalizione una volta diventata forza di governo. Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo. Emergono, infatti, alcune contraddizioni su alcuni temi rilevanti di politica estera come il ritiro delle truppe italiane dall’Irak e di politica economica come la liberalizzazione dei servizi professionali, il ruolo dell’Enel e quello della Rai. L’appello lanciato su Repubblica dal governatore del Friuli Riccardo Illy («Caro Romano, il tuo programma va preso e rifatto») rischia di non rimanere un caso isolato.
Irak. «Se vinceremo le elezioni, immediatamente proporremo al Parlamento italiano il conseguente rientro dei nostri soldati nei tempi tecnicamente necessari, definendone, anche in consultazione con le autorità irachene, le modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite», recita il programma a pagina 102. È la contraddizione più nota alle cronache e anche la più stridente, come sottolineato da Piero Ostellino sul Corriere della Sera. Il ritiro sarà, infatti, proposto «immediatamente», ma si rispetteranno i «tempi tecnicamente necessari». I leader dell’Unione che hanno firmato sono soddisfatti. Come garantire l’operazione italiana di peacekeeping e preparare il ritorno del contingente è un altro discorso.
Servizi professionali. «Abolire le tariffe minime tranne casi limitati alle attività riservate». Il programma dell’Unione a pagina 131 sembra chiaro in tema di liberalizzazione dei servizi professionali. Si vogliono prestazioni migliori? Allora niente blocco dei prezzi tranne che per le attività riservate. Ma quali sono le attività riservate? Generalmente sono le professioni intellettuali regolate dall’articolo 2229 del codice civile come quella di avvocato, commercialista, ingegnere, eccetera. La liberalizzazione, quindi, è solo teorica.
Enel, nano o gigante? Come negli altri due esempi anche in queste poche righe ci si trova di fronte a un paradosso. «Crediamo che l’Enel debba cedere all’asta capacità di generazione per eliminare l’eccesso di potere di mercato che tuttora detiene. (...) Per altro verso, riteniamo che i vecchi “campioni nazionali” dell’energia abbiano la capacità di crescere come “campioni europei”». La presa di posizione sull’azienda energetica a pagina 142 del programma fa sorgere un dubbio. Come può una società elettrica che perde ricavi sicuri tra le mura domestiche crescere a casa di colossi come la francese Edf o la tedesca E.On? Lo stesso si può dire per Eni, stretta da un programma che privilegia gas e fonti rinnovabili da un lato, mentre dall’altro si sostiene la necessità che la proprietà delle reti resti pubblica.
Rai a doppia velocità. «La Rai dovrà conservare ma anche rafforzare e migliorare la sua attività di servizio pubblico, nei contenuti editoriali e culturali, nell’informazione e nella qualità della programmazione». A pagina 265 si prefigurano le magnifiche sorti e progressive di Viale Mazzini e «per realizzare questo obiettivo attueremo inoltre una politica volta a cancellare le distorsioni del mercato pubblicitario». Una Rai potenziata e più pubblica inserita in un mercato pubblicitario dove non reciterà più un ruolo leader insieme a Mediaset? L’equazione potrebbe tornare solo con un aumento del canone.
Banca-impresa. Dopo Bancopoli la parola d’ordine è moralità e trasparenza. «Noi crediamo che per limitare il conflitto di interessi derivante dall’intreccio proprietario, debbano essere sottoposti a rigorosi limiti quantitativi i finanziamenti che una banca può erogare a un azionista con una partecipazione superiore all’uno per cento». A pagina 124, però, si sottolinea come «necessaria una politica per il rafforzamento della cooperazione tra piccole imprese e banche locali». Se l’impresa e la banca sono piccole, cooperare va bene. Se il grande o medio industriale è azionista di minoranza, il credito deve trovarlo da un’altra parte.

Un ultimo accenno va alla «previsione che i patti di sindacato debbano limitarsi a questioni proprietarie e non gestionali». Chissà cosa ne penseranno i manager di grandi banche rette da patti di sindacato che hanno votato alle primarie.

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