Eugenio Alberti Schatz è riuscito lanno scorso, assieme al suo amico Marco Vaglieri, in una cosa ben strana: convincere 224 italiani famosi (da Andreotti a Vallanzasca passando per Claudio Magris) a scriversi unautoepitaffio. Frasi ultime tutte pubblicate in Meglio qui che in riunione (Rizzoli pagg. 310, euro14). Ecco perché è la persona giusta per commentare dallItalia la moda franco-elvetica dellhappy hour mortuario.
Signor Schatz, perché alla gente piace così tanto parlare della propria morte?
«Serve in fondo a parlare della propria esistenza, a riflettere sul senso ultimo di quel che siamo. La morte nella nostra società ha... avuto una cattiva stampa, è stata esorcizzata. Invece pensarci sopra è terapeutico... Quando abbiamo contattato tutte queste persone famose per chiedergli un autoepitaffio dallaltro lato del telefono cè stato per lo più un gelo iniziale, a cui di norma è seguita una risata liberatoria».
E quindi un happy hour a tema?
«Mi pare interessante. Ci potrebbe essere di fondo una forma di feticismo. Forse significa che stiamo sdoganando un argomento che abbiamo a lungo nascosto... E questo nascondimento era figlio della modernità. Ora stiamo tornando a parlare di morte, persino nelle pubblicità... Magari ne traiamo delle riflessioni utili sul fatto che la fine ci obbliga a dare un senso alla vita».
Lei andrebbe a un happy hour così?
«Gli happy hour non mi piacciono tanto, ma ci andrei per curiosità. Ma io non ho paura della morte, sarebbe più interessante vedere come reagirebbe uno dei tanti che sono, se mi passa il gioco di parole, terrorizzati a morte...».
Perché il rapporto tra morte, cibo e drink?
«Amore e thanatos, thanatos e cibo sono argomenti su cui abbiamo detto tutto, pagine e pagine di antropologia. Quel che conta è che di fronte alla morte siamo soli, ma alla fine abbiamo voglia di comunicare qualcosa.
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