Rimini - Massimo Calearo fa parte della ristretta cerchia di quelli che contano davvero dentro Confindustria. Presidente di Federmeccanica e dell’associazione degli industriali di Vicenza, realtà chiave nell’economia italiana, e amico personale di Luca Cordero di Montezemolo (che lo chiama al telefono mentre è in corso l’intervista con il Giornale) Calearo è un dirigente che difende gli interessi della sua base senza concedersi troppe fughe in avanti. Stavolta, però, si concede uno strappo alla regola. E dal Meeting di Rimini fa partire la sua provocazione: «Lo sciopero fiscale? È uno shock: però a mali estremi, estremi rimedi».
Presidente Calearo, nel parterre confindustriale lei è il primo a rompere il fronte del politicamente corretto e a non liquidare come un’assurdità la proposta di Umberto Bossi. Per quale motivo?
«La mia posizione è legata al rapporto strettissimo che ho con il territorio e con i miei assistiti. Il Parlamento sembra non capire fino in fondo quanto forte spira il vento dell’antipolitica. Oggi tutto dimostra che nel nostro Paese ci sono due Italie e non intendo in senso regionalista. C’è un’Italia che vive di privilegi e un’altra che fatica ad arrivare alla fine del mese. La politica deve rendersene conto perché certi atteggiamenti rischiano di assomigliare al cesarismo».
Lei legge in questo scollamento tra l’elettorato e i suoi rappresentanti in Parlamento un pericolo per la democrazia? «Vedo qualcosa forse peggiore. Vedo un disinteresse e un rifiuto che possono davvero far scattare proteste estreme come lo sciopero fiscale. Chi ci governa non ci rappresenta. È questo è anche figlio di una legge elettorale che ha fatto sì che il Parlamento non fosse scelto dal popolo ma dai capi dei partiti. Non c’è un legame tra eletti e territorio».
Ma lei cosa ha pensato quando ha ascoltato le parole di Bossi sullo sciopero fiscale?
«Ho pensato che quando tutto è piatto e la gente si allontana da un pensiero pubblico allora anche una scossa come quella lanciata dal leader della Lega può essere utile e può servire a comunicare un malessere. Credo che non ci si arriverà, alla fine, allo sciopero però quando si continua a caricare il mulo, alla fine anche il mulo cade. Bisogna ricordarsi che c’è un’Italia che lavora e un’Italia che vive su chi lavora. La gente è stanca di pagare senza avere servizi decenti in cambio. Come imprenditori siamo i più tartassati d’Europa. Confindustria dice basta incentivi a pioggia ma meno tasse: giustissimo. Ora dalla provocazione è ora di passare alla proposta».
Si aspetta segnali concreti da parte del governo nella prossima Finanziaria?
«Ce lo auguriamo. Si dice ogni giorno che questo governo cade, poi è sempre lì. E da parte delle imprese c’è un disperato bisogno di certezze e di riferimenti. Dalla Finanziaria ci aspettiamo una riduzione delle tasse e un drastico abbattimento della spesa pubblica».
Un governo così fragile rappresenta un pericolo per il sistema produttivo?
«Io chiedo al governo di mettere da parte le scaramucce interne e mettere davanti a tutto l’interesse del Paese. Bisogna smetterla con la caduta nelle ideologie. Questo governo ha un problema: non c’è mai stato nella storia d’Italia un governo così influenzato dalla palla al piede di una sinistra marxista. Ci sono posizioni fuori dal tempo che sono davvero dannose per tutti».
In questa situazione ritiene che Confindustria debba svolgere un più incisivo ruolo di supplenza?
«Ma Confindustria ormai questo ruolo di supplenza ce l’ha già. Le imprese ormai si muovono da sole, senza il sostegno del governo ed è Confindustria a mettere in moto il sistema imprenditoriale. Ormai è Confindustria il punto di riferimento».
Confindustria, però, durante la campagna elettorale del 2006 non assunse certo una posizione ostile rispetto al governo Prodi.
«Inutile ripensare ai possibili errori del passato. Nessuno è infallibile. Qui non dobbiamo pensare a ieri ma al futuro, dobbiamo pensare alle prospettive delle nostre imprese da qui al 2015.
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