Politica

Il tavolo traballante di Romano

Il governo Prodi non c'è ancora ma al Professore stanno già arrivando a scadenza le prime cambiali firmate in campagna elettorale. Prima cambiale, mittente Cgil. Al loro congresso Prodi disse che il programma dell'Unione coincideva con quello del sindacato di Epifani. Bene, preso in parola: secondo la Cgil la Legge Biagi va cancellata. Non rivista o modificata. «Non vogliamo nessun ritocco alla legge 30 - ha sentenziato il numero uno della Cgil -, ma vogliamo una nuova legge». Seconda cambiale, mittente il partito dei Verdi. Per bocca dell'onorevole Paolo Cento il partito di Pecoraro Scanio manda a dire a Prodi che la legge Biagi va cancellata. Qualsiasi riforma del mercato del lavoro deve avere una premessa: «la cancellazione, e non la parziale modifica, della legge Biagi. Superarla è un atto di civiltà».
Il coordinatore nazionale dei Cub (Confederazione Unitaria di Base), gente tosta, Pierpaolo Leopardi, in rappresentanza di oltre 700.000 lavoratori, va oltre: bisogna cancellare la Legge Biagi e anche il pacchetto Treu varato dal precedente governo ulivista. «La mancata totale abrogazione della Legge 30 e del Pacchetto Treu segnerebbe negativamente e irrimediabilmente la sorte del nuovo governo». Roba da far accapponare la pelle anche a Prodi.
Avendo un po' di calma chiederanno la verifica di legittimità del referendum promosso da Craxi sull'abolizione della scala mobile.
Insomma, giù la maschera. In campagna elettorale si era scherzato. Della Legge Biagi si diceva: superarla, riformarla, modificarla, andare oltre. Ora la campagna elettorale è passata e chissenefrega di quel che abbiamo detto o non detto. La Legge Biagi va buttata via.
Perché? Perché rende il lavoro precario, dicono. E poco importa se gli imprenditori hanno ritenuto utile questa legge per accrescere l'occupazione. L'importante è l'assunto ideologico: il lavoro flessibile non va bene, ci vuole quello fisso. Occorre scoraggiare il lavoro flessibile, ci ha ripetuto come una nenia il Professore in campagna elettorale. Il Giornale lo ha ricordato tante volte, le alternative alla flessibilità sono due: la disoccupazione e il lavoro nero. I due mali che la Legge Biagi, in modo realistico - cioè possibile, fattibile - ha combattuto con risultati apprezzati anche in sede europea.
La Confindustria, sempre quella con la quale Prodi aveva tentato di andare a nozze (almeno con la dirigenza), ha già fatto sapere che di buttare giù la Legge Biagi non se ne parla. L'altra sera a Ballarò abbiamo visto un imbarazzato Alberto Bombassei, vicepresidente della Confindustria per le Relazioni industriali, informare un imbarazzante Francesco Rutelli che le nuove forme di rapporti di lavoro, introdotte dalla legge che porta il nome del professore bolognese, non sono cinquanta (come sosteneva il leader margheritino) ma quattordici. Non c'è nulla di peggio delle parole d'ordine. L'hanno inventata e diffusa loro: legge Biagi uguale precarietà. E proprio questa legge sarà quella che comincerà, dopo la botta presa dalle urne, a rendere precario questo governo.
Chissà cosa penserà Luca Cordero di Montezemolo, il presidente di Confindustria che quando finì di parlare Prodi al famoso convegno di Vicenza disse che era soddisfatto. In questa vicenda il suo ruolo sarà fondamentale perché dovrà rappresentare la voce delle imprese e dovrebbe rappresentare la voce del mercato del lavoro dalla parte della domanda. Vedremo.
Intanto le carte si stanno man mano scoprendo e più si scoprono e più inizia a traballare il tavolo dove siede Prodi. È uomo massiccio che dovrebbe reggere bene gli scossoni.

Il problema è un altro: di quel che succede a quel tavolo, ne faremo noi le spese.

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