
Molti anni fa Gabriele Lavia era a Trieste dove, per interpretare un testo di Arthur Schnitzler, aveva bisogno di un frac. "Andai da un vecchissimo sarto racconta - che mi disse: Io non le farò un frac. Le farò il frac. Perché, mi spiegò poi, per alcuni il frac è una semplice giacca con due code. Per me è quel vestito che, quando un direttore d'orchestra agita le braccia per dirigere, non si muove". Martedì Lavia indosserà di nuovo un frac che "non si muove". A Bologna sarà il Narratore (oltrechè il regista) di Oedipus Rex, l'opera-oratorio di Stravinskij tratta da Sofocle, che diretta da Oksana Lyniv, torna al Teatro Comunale dopo 57 anni d'assenza.
Lavia, cosa trova nella storia di Edipo, inconsapevole assassino del padre e incolpevole sposo della madre?
"Semplicemente l'opera di un genio assoluto. Probabilmente la più grande dell'umanità. Quella di Edipo è la storia di un uomo che cerca l'origine del male. E scopre che questa origine è l'uomo stesso. Nel suo caso, anzi, è proprio lui. Nel 1926 Stravinslij chiese a Jean Cocteau di ridurre questa storia, dopo 2400 anni sempre attuale, a libretto d'opera. E nonostante gli screzi fra i due - presumo che il musicista trovasse eccessiva l'effeminatezza del poeta - Cocteau la fece tradurre in latino, per conferirle un'aura sacrale".
Ma oggi l'uso del latino non rischia di renderla ostica?
"Per me no: io ho studiato dai preti. Ma per il pubblico il rischio c'è. Nel 1927 Cocteau confidava che tutti conoscessero la storia di Edipo; oggi invece è inconsueto che la gente legga testi teatrali. Anzi: oggi è inconsueto che la gente legga, e basta. Così, nel timore che il pubblico non ci capisse nulla, già allora Cocteau previde un Narratore che la spiegasse in lingua corrente. Quel narratore sarò io. Col mio frac".
Quando affronta un'opera come dirige i cantanti? Come se fossero attori di prosa?
"Mi piacciono, i cantanti lirici. Io sarei stato un grande tenore. Perché il tenore non fa dei ruoli: fa il tenore. Quanto alla differenza fra i due, recitare e cantare è più o meno la stessa cosa. Ma il cantante ha una catena: lo spartito. Non può cambiarlo in nulla: è immutabile. Che è anche la sua grande fortuna. La musica dell'attore, invece, è inudibile. Eseguirla è molto più personale, ma anche molto più complesso".
Il tema del male domina l'Oedipus Rex. Nella sua storia di uomo che posto ha avuto il male?
"La mia storia di uomo è stata sempre e solo quella del mio teatro. Già a 16 anni io sapevo di dover fare teatro: non avrei potuto vivere, altrimenti. Quindi credo che l'unico male che ho commesso sia stato fare, talvolta, dei brutti spettacoli. Il teatro è la mia felicità. Ma ogni felicità ha dentro di se una maledizione".
Stravinskij concepì Oedipus quasi come un oratorio.
"Sì: lui voleva i cantanti tutti fermi, dall'inizio alla fine, perché probabilmente non sopportava i loro gesti stereotipati. Ma noi invece lo faremo come opera. Solo il coro rimarrà immobile".
E questa musica? Così aspra, così poco cantabile. Le piace?
"Moltissimo. Certo: non la ascolterei tutti i giorni, come farei con Beethoven. Ma è adatta a tempi come i nostri, in cui la forma viene spezzata.
Che è appunto quanto fa Stravinskij: spezza la forma musicale, ricomponendola in altro modo. Come anche il povero regista: spezza l'opera di un altro, per rifarla a modo suo. Meglio? Peggio? Non si sa. Ma sarà così fino a quando il sole risplenderà sulle sciagure umane, come direbbe Foscolo".