I big del Premio Enriquez

Il direttore artistico del Piccolo di Milano: "Un dovere essere chiari col pubblico". Dice l’attore originario di Busto Garolfo: "Resto affezionato agli spettacoli live"

I big del Premio Enriquez

È giunto alla XXI edizione il Premio «Franco Enriquez» che, quest'anno, verrà consegnato, a Sirolo (in provincia di Ancona), il 30 agosto, a Claudio Longhi, per aver trasformato il Piccolo Teatro di Milano da teatro di regia a teatro dalle molteplici traiettorie, poi verrà dato a Giampiero Beltotto, per la sua conduzione, come presidente, del Teatro Stabile del Veneto, alla Compagnia Kepler 452 per «A place of Safety», a Elio De Capitani per l'interpretazione di «Re Lear», a Paola Minaccioni per «Elena la matta», a Mauro Lamantia per «Gramsci Gay». E ancora: a Giacomo Poretti e Anna Teresa Rossini, entrambi alla Carriera, poi a Corrado Tedeschi per la sua particolare «lettura» di «L'uomo dal fiore in bocca»; a Norma Martelli per «Caro Pier Paolo» di Dacia Maraini, e poi a Dario D'Ambrosi, Isabella Carloni, Federico Mondelci e Ivan Graziani (Alla memoria). Infine, gli appuntamenti teatrali del mese di agosto, sono i seguenti: «Enrico IV» Compagnia della Magnolia, «Horacio Czertok» Compagnia Teatro Nucleo, «L'uomo dal fiore in bocca» con Corrado Tedeschi e l'«Infinito Giacomo» con Beppe Pambieri.

«Carte geografiche per capire la scena»

Claudio Longhi, bolognese classe 66, è dal primo dicembre 2020 direttore del Piccolo Teatro di Milano. Il prossimo sabato 30 agosto, a Sirolo, al Teatro Cortesi gli sarà assegnato il Premio Franco Enriquez Città di Sirolo 2025 per il suo «coraggio encomiabile, per avere dirottato la Storia del Piccolo Teatro da un Teatro di Regia () a un Teatro dalle molteplici traiettorie () alla ricerca di nuovi linguaggi che appartengono ai palcoscenici del mondo».

Riceverà il Premio Enriquez: cosa la lega al regista fiorentino-marchigiano? «Purtroppo non ho avuto l'occasione di incontrare Franco Enriquez, se non come spettatore. Nei suoi confronti coltivo una sorta di affezione personale, ancorché indiretta, legata al significato che ha avuto nella storia del Teatro di Roma, essendone stato direttore proprio alle origini, ed essendo ancora molto presente nella memoria di quei colleghi che, a Roma, dove è iniziata la mia collaborazione con Luca Ronconi, hanno accompagnato i miei esordi. E poi c'è una sorta di affezione per ciò che Enriquez ha significato nella storia del teatro italiano del secondo '900; ha previsto quella complicità artistico-esistenziale con l'attore che prefigura nuovi modi di intendere il teatro di regia, quasi anticipandone l'attuale processo di ricodificazione». Non ha mai avvertito come rischiosa la sua linea come direttore di non proporre più solo teatro di regia? «Parlerei di una scelta di coerente e onesta adesione alle trasformazioni dei linguaggi teatrali oggi in atto. Sono convinto che un direttore artistico abbia anche il dovere di fornire alla società e agli spettatori carte geografiche della scena contemporanea fedeli al presente che viviamo». Come vede il teatro di regia da qui a qualche anno? «In questo momento siamo in pieno ripensamento: la regia oggi è aperta alle sollecitazioni della drammaturgia, della riappropriazione della funzione autoriale da parte dell'attore (sul modello della preziosa tradizione del grande attore) o delle pratiche del lavoro collettivo. Cosa accadrà più avanti lo sapremo quando assisteremo a una nuova evoluzione di grammatiche. Magari una controriforma registica». I progetti teatrali di cui si fa promotore sradicano il teatro anche dalla sua centralità come luogo. «Non ho mai pensato a questi progetti come a un processo di decostruzione del teatro come luogo della rappresentazione. Nascono da una riflessione intorno al rapporto teatro-città: perché questo legame possa esistere il teatro deve avere capacità di attrazione a sé della città e deve avere la forza di attraversarla fisicamente. Rispetto all'attenzione che il Piccolo riserva alla disabilità: come essere innovativi? «L'inaugurarsi del tandem col direttore generale Lanfranco Li Cauli consente di sviluppare in modo ancora più compiuto la riflessione intorno al rapporto tra teatro e città. Credo che proprio questa riflessione sia la stella polare alla luce della quale declinare i molteplici progetti di apertura del teatro».

«I nostri personaggi? “amici” di famiglia»

E la mente va subito al Trio, con Aldo e Giovanni, Marina Massironi, gli spettacoli, i film, la tv. Una carriera che dura da 25 anni. Diversi mezzi e linguaggi ma sempre la stessa comicità intelligente. Ora la giuria del Premio Enriquez ha deciso di premiarlo anche per la vicinanza con Renato Rascel, con cui Poretti ha in comune arguzia, umorismo e varietà dei mezzi. Il riconoscimento sarà assegnato all'attore di Busto Garolfo il prossimo 30 agosto nelle Marche, a Sirolo nel Teatro Cortesi. Oggi Poretti è il direttore artistico del Teatro Oscar-Teatro degli Incamminati di Milano, e, da tre anni, ha creato la «Ditta»: Giacomo Poretti-Daniela Cristofori, che ha riempito le sale con «Condominio Mon Amour». Come si sente a ricevere il Premio Enriquez?

«Sono particolarmente contento - dice - È un premio significativo perché dedicato a un grande nome del teatro. Si prova un po' di orgoglio a riceverlo. Poi, se va anche a Longhi...». È bella questa accoppiata di premiati. Molto milanese: si può dire che sia un'altra testimonianza che in Italia il teatro sia solo sotto la Madonnina? «Non esageriamo, anche se Milano è rilevante per i teatri presenti, di produzioni». Che cosa il pubblico ama di più della vostra comicità? Poretti: «Penso che la gente veda in noi una certa normalità in cui potersi immedesimare. I nostri personaggi sembrano amici di famiglia». In «Condominio Mon Amour» il vecchio custode Angelo da oltre trent'anni lavora nella portineria di un condominio della «Milano-bene». Un giorno Caterina (Daniela Cristofori), un'affascinante signora, lo licenzia. Sarà sostituito da un'App. Si toccano temi attuali, come il lavoro e la condizione dell'uomo davanti all'evoluzione digitale. Come si fa ironia, in questi casi? «Lavorando con il linguaggio dell'ironia da tanti anni, sono abituato ad affrontare certi argomenti. Con Daniela (Cristofori, la moglie ndr) avevamo a cuore il tema del lavoro. In questa fase storica è un passaggio significativo. La perfida intelligenza artificiale potrebbe riservarci delle sorprese». Sui cambiamenti provocati dalla tecnologia, «Porecast» è una serie di interviste-spettacolo pensate per un pubblico dal vivo, ma soprattutto per la rete: come vede lo sviluppo della comicità online? «I reel li faccio anche io: sono leggeri più che comici. In certa misura sono un'opportunità, ma credo che il digitale alimenti il dilagare del cinismo perché manca il rapporto con il pubblico. Io resto innamorato e affezionato al live».

Infatti, ha aperto un

nuovo Teatro nel 2019, il deSidera Teatro Oscar, con Luca Doninelli e Gabriele Allevi. I teatri sono diventati due: il Teatro Oscar e il Teatro degli Angeli. Ce ne bastava uno solo, «ma le sollecitazioni sono state tante».

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