"Tecnologia e letteratura giocano insieme in un paradiso del Pacifico"

Il premio Pulitzer, Richard Powers, parla del nuovo romanzo in cui un'isola è nel mirino dei miliardari della Silicon Valley

"Tecnologia e letteratura giocano insieme in un paradiso del Pacifico"

Dopo averci trasportato di chioma in chioma su alberi secolari nel suo Il sussurro del mondo (con cui ha vinto il Pulitzer nel 2019) lo scrittore americano Richard Powers ci fa immergere negli oceani e fra le creature incredibili che li popolano in Un gioco senza fine (La nave di Teseo, pagg. 556, euro 24). In questo Playground (che poi è il titolo originale) scienza, tecnologia, umanesimo e amore per la natura si incontrano su un puntino disperso nel Pacifico: l'isola polinesiana di Makatea, un paradiso (ricchissimo di fosfati) minacciato da un progetto per creare futuristiche città galleggianti e dove si incrociano i destini dei quattro protagonisti (un genio dell'informatica miliardario, un poeta, una scultrice e una oceanografa). Powers parla dalle Smoky Mountains, negli Appalachi del Sud: "Mi sono trasferito qui nove anni fa, mentre scrivevo Il sussurro del mondo, per stare vicino alle antiche foreste e poterle esplorare per il romanzo. Ho amato questo luogo così tanto che ho deciso di restare".

Nel Sussurro del mondo c'era la botanica Patricia Westerford, qui c'è Evelyne Beaulieu, pioniera delle immersioni subacquee. Ama le protagoniste avventurose?

"Non sono solo entrambe avventurose, ma anche impegnate nell'esplorazione scientifica del mondo vivente, ed entrambe si ritrovano in professioni dominate dagli uomini, nelle quali il loro contributo porta a cambiare i paradigmi, i modi in cui le persone considerano la loro relazione con il mondo vivente. Evelyne è ispirata a Sylvia Earle".

Perché questa scelta?

"Credo sia un modo meraviglioso per indagare l'eccezionalità umana. Queste storie ci parlano di una sfida. Io amo la scienza e da ragazzo ero convinto che sarei diventato uno scienziato. Scrivere questo romanzo è stato un modo di ripensare la scienza come un processo più recettivo e integrante: un modo di essere e di comprendere il mondo vivente che non abbia come obiettivo primario il desiderio di dominarlo, manipolarlo e controllarlo, ma che vede le persone come parte di una relazione interdipendente e reciproca con il mondo non umano".

I romanzi sono parte del processo di elaborazione di questa diversa prospettiva sulla scienza?

"Sono convinto che i romanzi siano un mezzo più potente di altri per esplorare questa nostra interdipendenza. Io mi sono sempre ispirato al filosofo e sociologo francese Bruno Latour, che poi è diventato un mio amico, secondo il quale lo studio della scienza dovrebbe aspirare a quel genere di opera che compie un romanzo: non solo dispiegare delle riflessioni su un tema ma farti vedere gli agenti e gli attori in azione. Per Latour, i romanzi sono modalità reali ed emozionali di conoscere il mondo".

È vero che ha fatto il programmatore, come uno dei protagonisti, Todd Keane?

"Sì, per anni è stato il mio lavoro, prima di guadagnarmi da vivere con la scrittura. Questo libro mi ha permesso di tornare indietro nel tempo e di ricordare quella rivoluzione profonda, a cui ho preso parte da giovane, che ha cambiato ogni cosa e il modo in cui viviamo nel mondo... Con la storia di Todd è di me che parlo: per me è stato un modo vicario di ricordare la trasformazione che ho vissuto e gli effetti che ha avuto su di me".

Questa trasformazione però ci fa anche paura?

"Credo che la questione della potenzialità dell'uso della tecnologia, nei suoi aspetti positivi e negativi, sia alla base di tutto quello che ho scritto e che oggi debba essere la domanda al centro delle nostre esistenze. Dovremmo raccontare storie su questo, e chiederci: come riusciremo a sopravvivere alle nostre abilità inventive e ingegneristiche, alla nostra creatività e alla nostra esplosività intellettuale?"

Ha una risposta?

"Beh, è una bella sfida. Non sono un futurologo, però per me è interessante tornare sui temi dell'Ia, che avevo già esplorato nel 1995 nel romanzo Galatea 2.2: lì, le persone addestravano una Ia chiamata Helen, che prefigura un modello linguistico di grandi dimensioni... In pratica, di quello che Helen faceva nel '95 non c'è nulla che ChatGpt non sia in grado di fare oggi: trent'anni fa sembrava una favola, adesso sembra una testimonianza. Quanto a noi, credo che a breve termine sopravviveremo, ma che sul medio-lungo termine dovremo riorganizzare completamente il modo in cui esistiamo sulla Terra, dal punto di vista della struttura sociale e dei valori di oggi, che non potranno più essere sostenibili, nella misura in cui ci consideriamo in diritto di sfruttare l'intero pianeta per soddisfare i nostri appetiti. E credo anche che, per fare avvenire questa trasformazione, lo storytelling abbia un ruolo più importante di grafici, dimostrazioni o argomentazioni politiche".

Ama il mare tanto quanto gli alberi?

"Sono cresciuto nel North Side di Chicago e, come tutti i bambini, ero ossessionato dal mondo naturale: passavo il tempo fuori casa a collezionare insetti... A un certo punto, per il mio decimo compleanno, mia sorella mi regalò un libro sulla barriera corallina: per me fu come guardare un altro pianeta, i colori, le forme degli animali, la loro incredibile stranezza... Era qualcosa di totalmente inimmaginabile".

E poi?

"E poi, per il lavoro di mio padre, la mia famiglia si trasferì in Thailandia e così il giorno del mio undicesimo compleanno mi ritrovai a nuotare a ridosso della barriera corallina nel Mar Cinese meridionale, proprio in mezzo alle creature meravigliose del libro. In quel momento, e fino ai 17 anni, quando tornai negli Stati Uniti, ero sicuro che sarei diventato un oceanografo o un biologo marino".

Che cos'è il seasteading, il progetto di città galleggianti di cui parla?

"Due anni fa, quando mia sorella è morta, mi sono ricordato di quel libro che mi aveva regalato, di quando vivevamo a Bangkok e anche di come avessi imparato molte cose su quelle isolette del Pacifico, ricchissime di fosfati, che hanno contribuito a nutrire il pianeta; avevo pensato che sarebbe stata una materia perfetta per un romanzo politico: tutto il mondo ha bisogno di fertilizzanti per la produzione agricola, ma quelle isolette sono mangiate dal bisogno del mondo di mangiare...".

L'aveva scritto questo romanzo?

"Mai. Però, proprio quando è morta mia sorella, ho letto di un consorzio di tecnomiliardari, guidato da Peter Thiel, che aveva degli accordi con la Polinesia francese per indagare la possibilità di realizzare città galleggianti: una nuova forma di libertarismo estremo della Silicon Valley e di colonialismo, proprio in quelle isole ricche di fosfati che già avevano sofferto a causa del vecchio colonialismo. E così ho immaginato che ci fossero un filo che proveniva dal vecchio colonialismo, un altro che si snodava dalle fantasie tecnologiche digitali e legate all'Ia e che queste due traiettorie si incrociassero a Makatea, questa piccola isola grande la metà di Manhattan".

Che cos'è il Playground del titolo?

"Un gioco è quello che unisce e separa i due protagonisti, l'informatico Todd e il poeta Rafi, che rappresentano la battaglia, in me, fra scienza e letteratura, ma anche la lotta tra due visioni del mondo; Makatea è il terreno di un gioco di potere internazionale; un gioco è quello del mondo, che ha questa caratteristica misteriosa di muoversi fra lati oscuri e luminosi. Infine ci sono prove che le creature marine siano capaci di giocare, qualcosa di sorprendente, a cui non avevamo mai pensato".

Perché è diventato uno scrittore e non uno scienziato, alla fine?

"Oh ho. Credo per il fatto che amassi così tante cose...

Ho la tempra del generalista. E, quando scrivo, posso diventare un matematico, un fisico, un biologo, un oceanografo, uno storico e vivere in tutti questi mondi, senza per forza dover chiudere qualcosa fuori dalla porta".

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