Politica

Teheran insiste: riconoscere Israele è un crimine

E sul nucleare annuncia: «Continueremo l’arricchimento dell’uranio. Non mi fido dell’Occidente»

Gian Micalessin

Non è finita. Rinviata a data da destinarsi la promessa di cancellare Israele dalla carta geografica il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad non perde tempo e mantiene la linea dura. Ai Paesi arabi moderati che potrebbero riconoscere lo Stato ebraico e allacciare relazioni diplomatiche dopo il ritiro israeliano da Gaza dice che «sarebbe un crimine imperdonabile», e che i governi che «facessero un simile passo «si troverebbero a fronteggiare la comunità dell'Islam (Umma)». Ma il presidente non si ferma qui e annuncia altre priorità. La prima, non meno preoccupante, è l’impegno a non arrestare più, per alcun motivo, i progetti di sviluppo nucleare. Una condizione che rischia di rendere improponibile la ripresa dei negoziati condotti - a nome dell’Europa e con il beneplacito di Washington - dai rappresentanti di Londra, Berlino e Parigi. E anche questa volta per snocciolare i suoi programmi il presidente pasdaran si sceglie la platea più adeguata. L’altra volta aveva urlato il suo impegno davanti ad una folla di studenti integralisti. Questa volta, salito con una kefiah palestinese al collo su un palcoscenico di sacchetti di sabbia, riempie d’eccitazione i cuori di una marea di Basij, i volontari islamici pronti a sacrificare la vita in difesa della rivoluzione islamica.
Con un’uscita che sembra studiata per mantenere al livello di rottura i rapporti con l’Occidente, il presidente pasdaran promette di appoggiare con tutta la sua forza «la ripresa e la continuazione dei lavori negli impianti di arricchimento dell’uranio». Ahmadinejad conferma, insomma, di voler archiviare per sempre l’impegno preso nel novembre del 2004 dal governo del suo predecessore Mohammed Khatami che congelò tutte le attività nucleari per favorire l’avvio di colloqui con la cosiddetta «troika» europea. «Il precedente governo pur di avviare un rapporto di fiducia fece molti passi indietro sospendendo l’intera attività di sviluppo, ma i fatti recenti ci fanno capire che quel tentativo di costruire un rapporto di fiducia è stato un errore».
Se questa promessa rispecchiasse la volontà di tutto il gruppo di potere iraniano Teheran potrebbe ritrovarsi tra breve a dover render conto del proprio comportamento davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il direttivo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) ha già approvato nella sua ultima riunione una sorta di mozione preparatoria che mette in guardia dall’Iran per non aver rispettato le direttive dell’Agenzia. Nel prossimo direttivo l’Aiea potrebbe decidersi ad accettare le richieste di Stati Uniti ed Europa chiedendo al Consiglio di Sicurezza di giudicare la condotta di Teheran e approvare, al caso, una mozione con la richiesta di sanzioni. Ma Ahmadinejad, contando forse sul veto di Cina e Russia, sembra non curarsene troppo e spara a zero sulle nazioni occidentali accusate di esercitare pressioni e condizionamenti pretestuosi. «Mentono e lo fanno per impedire alla Repubblica Islamica di avere a disposizione l’intero ciclo per la produzione di energia nucleare». A detta di Ahmadinejad il contestato processo di arricchimento dell’uranio che preoccupa Stati Uniti, Europa e l’Aiea per la possibilità di utilizzo a fini militari «è legale al cento per cento e non nasconde alcuna finalità deviante». Preso dalla foga oratoria il presidente iraniano sembra dimenticare perfino le responsabilità e le colpe già ammesse dal suo Paese. «Dire che l’Iran ha tenuto nascosti i propri piani è un’enorme bugia» sentenzia il presidente pasdaran omettendo che le stesse autorità di Teheran ammisero nel 2003 di aver lavorato in segreto per 18 anni per sottrarsi alle pressioni degli Stati Uniti e della comunità internazionale.
L’irruenza oratoria di Ahmadinejad e le sue stilettate al precedente governo, accusato di aver bloccato il processo nucleare per compiacere l’Occidente, finiscono con il risvegliare persino il mite ex presidente Mohammed Khatami. Rompendo il silenzio a cui si era impegnato dopo la scadenza del proprio mandato l’ex presidente ha ricordato ieri che la Repubblica islamica non ha come scopo quello di «trasformare il mondo intero e favorire l'instaurazione di governi a noi più favorevoli».

Intervenendo durante una visita al Museo nazionale del Corano a Teheran Khatami ha anche consigliato, pur senza citare Ahmadinejad, «di evitare discorsi capaci di crear al Paese problemi economici e politici con il resto del mondo».

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