Teheran passa alle minacce: «Pena di morte per i ribelli»

Un nuovo appello alla ripetizione delle elezioni presidenziali iraniane «svoltesi in modo disonesto» è stato lanciato dal candidato riformista Mir Hossein Moussavi, nel cui nome anche ieri decine di migliaia di persone hanno compostamente sfilato nel centro di Teheran: e nonostante fosse stata vietata dalle autorità la stessa televisione di Stato ha mostrato senza troppi commenti alcune immagini della manifestazione.
«Desideriamo una protesta pacifica - si legge nel sito di Moussavi -, il nostro obiettivo è l’annullamento del voto e la sua ripetizione, affinché questa truffa odiosa non possa più ripetersi». L’avversario di Ahmadinejad si è poi rivolto «al popolo iraniano» chiedendo di «riunirsi domani (oggi per chi legge, ndr) nelle moschee e di organizzare cortei pacifici» per ricordare le vittime (ufficialmente otto, ma secondo alcune fonti assai più numerose) delle manifestazioni di protesta contro i brogli: anche lui, assicura, sarà presente.
La sfida dunque continua. E suona stonato che Ahmadinejad persista nella sua ostentata indifferenza nei confronti delle proteste di piazza. Ieri il presidente rieletto ha detto come se niente fosse che «l’esito del voto di 25 milioni di persone premia il lavoro basato su onestà e spirito di servizio». Sono i fatti a smentirlo: la mobilitazione dell’opposizione fa paura e lo documenta il crescendo di arresti, pressioni e minacce da parte delle autorità.
Ieri mattina due noti sostenitori di Moussavi sono stati imprigionati, mentre i mezzi d’informazione, iraniani e stranieri, sono sempre più nel mirino. I giornalisti venuti dall’estero sono di fatto costretti a lavorare dai loro alberghi, essendo loro impedito di seguire le manifestazioni di protesta. Il ministero degli Esteri di Teheran ha esplicitamente accusato i media stranieri di essere «divenuti i portavoce del movimento degli ammutinati» e «raccomanda» di «cambiare il loro scorretto rapporto con gli avvenimenti iraniani». Per gli iraniani le minacce dei Guardiani della rivoluzione sono ben più drastiche: «Ricordiamo che c’è la pena di morte per chi anche attraverso i media alimenta tensioni».
Accuse pesanti anche agli Stati Uniti, nonostante lo sforzo del presidente Obama di mantenersi il più possibile neutrale per non compromettere il dialogo con l’Iran. La radio ufficiale parla di «intollerabile ingerenza» (subito negata da Washington): il riferimento è probabilmente all’intervento del Dipartimento di Stato Usa sui gestori del sistema di messaggi via mail «Twitter» affinché non sospendessero il loro servizio proprio mentre i manifestanti in Iran si ritrovano privati della possibilità di usare Sms e internet.
La protesta contro il regime non si limita al movimento di Moussavi. Anche altri candidati sconfitti hanno fatto sentire la loro voce: Mehdi Karroubi ha chiesto ai suoi sostenitori di vestirsi di nero alla preghiera del prossimo venerdì, che sarà condotta dalla Guida Suprema Alì Khamenei. Perfino l’ultraconservatore Mohsen Rezai ha detto di aver raccolto prove di brogli ai suoi danni.

Ma il gesto più a effetto lo hanno compiuto diversi calciatori della nazionale iraniana, ieri impegnata contro la Corea del Sud. Indossando polsini o fasce verdi (il colore dei sostenitori di Moussavi) hanno fatto vedere al mondo di non avere paura.

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