Spiare, per essere pronti. Controllare, sempre, per non perdersi il momento giusto. Che poi sarebbe la morte, ma il lavoro è lavoro: e l’addio a Nelson Mandela è uno scoop mondiale, un evento a cui bisogna essere preparati. Perciò due agenzie di stampa internazionali avevano piazzato delle telecamere a casa dei vicini dell’ex presidente a Qunu, nella zona del Capo orientale: il paesino dove Mandela è cresciuto e dove, a 93 anni, fragile e indebolito, si è ritirato. Vecchiaia tranquilla, lontano dal chiasso. Ma non è scappato abbastanza, la sua morte è una notizia che fa gola, tanto che la polizia è convinta che, oltre alle due telecamere sequestrate, altri occhi siano puntati nel villaggio, per spiare il vecchio Madiba.
Le agenzie (Reuters e Ap) sono sotto indagine, un portavoce dell’Ap ha spiegato al Times di Johannesburg che non c’era nessuna cattiva intenzione, quelle telecamere «sono parte della preparazione» di tanti media «nel caso di una grande notizia che coinvolge un ex leader mondiale». Una «grande notizia», non suona poi tanto inquietante, no? Che c’è di ossessivo? La caccia alla «grande notizia» (che poi sarebbe la morte, di un uomo simbolo ma sempre morte è) ricorda il metodo dei tabloid di Murdoch, il News of the World che, sempre alla ricerca di storie succulente, faceva intercettare centinaia di persone, più o meno famose. Forse anzi migliaia: Scotland Yard avrebbe trovato altre duemila intercettazioni, ci sarebbero appunti che documentano 5.795 persone spiate. Quasi seimila telefoni sotto controllo, sempre per il principio della «grande notizia», per l’idea che, a furia di intercettare, origliare, osservare, qualcosa uscirà. Ma che cosa, poi? L’immagine di una bara, l’ennesimo pettegolezzo su un vip? Insomma uscirà una notizia o un’altra morbosità?
Il Sudafrica è scandalizzato: Mandela spiato, l’eroe nazionale, alla sua età, c’è pure una «violazione della legge sui luoghi strategici nazionali» secondo la polizia. Ma il vicino di Mandela che ha accordato il permesso per fare installare quelle telecamere, si sarà tanto indignato? L’ex presidente è a Qunu da giugno, sono sei mesi che è sotto osservazione. Sbirciare dal buco della serratura è così facile, che la tentazione è forte. Il successo di Wikileaks insegna: pagine e pagine di documenti segreti, indiscrezioni rivelazioni chiacchiere commenti, tutto funziona se può nutrire la curiosità. Perché la morbosità è un circolo perverso che si autoalimenta, la telecamera a volte è solo un occhio prolungato di migliaia di altri occhi, l’«interesse pubblico» è un alibi facile da evocare, ha perfino la patina della moralità.
Che cosa ci sia, sotto e dentro quell’interesse, è tutt’altra cosa. Le indagini sullo scandalo di News of the World ora dicono che James Murdoch, il figlio di Rupert, avrebbe mentito: lo «scenario da incubo», le moltissime vittime delle intercettazioni, gli sarebbe stato noto già dal 2008. E a incastrarlo ci sarebbe una serie di email, perché si spia ma si è anche spiati, e a volte poi negli scandali la colpa finisce per annacquarsi. A furia di rivelare, si rivela di tutto: Dominique Strauss-Kahn è finito alla gogna planetaria per il presunto stupro al Sofitel, poi un tribunale di New York l’ha scagionato; lui ha ammesso l’errore, e infine è comparso uno strano video dove dei dipendenti dell’hotel esultano e festeggiano. Per che cosa? Beccati sempre dalle telecamere, comunque, pure loro (quelle di sicurezza interne all’albergo).
Spiare il vecchio Mandela, spiare il sesso, spiare i telefoni di chiunque possa trasformarsi in «notizia» (anche quello di una ragazzina scomparsa e ritrovata cadavere), spiare i documenti segreti di politici, ambasciatori, militari, banche: spiare, spiare, spiare. Ma solo per non farsi trovare impreparati, neanche davanti alla morte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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