Politica

Telecom, ecco il documento che smaschera Prodi

Il disegno del governo: 5 miliardi dalla Cassa depositi e prestiti per far entrare lo Stato nella rete fissa. Il ruolo delle banche amiche

Marcello Zacché

da Milano

Non c’è bisogno di essere politicamente schierati con il centrodestra per non credere a Prodi, quando dice di non essere stato informato sul riassetto della Telecom: c’è un documento che tra il 5 e il 6 settembre scorso è uscito da Palazzo Chigi diretto verso la scrivania del presidente di Telecom Italia Marco Tronchetti Provera e che si intitola «Scorporo della Rete di Telecom Italia. Indirizzo industriale e considerazioni economico finanziarie». Datato Roma, 5 settembre.
Sono 28 pagine accompagnate da un cartoncino di cortesia intestato «Segreteria Particolare del Presidente del Consiglio dei Ministri», e firmato a mano da Angelo Rovati, imprenditore, consigliere economico e finanziario di Prodi, responsabile dei finanziamenti della campagna elettorale. Comunemente indicato come l’alter ego del professore. Ora, che l’alter sapesse e l’ego no, come ieri ha dichiarato Rovati (in Cina, naturalmente con Prodi) appare stravagante. Comunque, leggendo le 28 pagine (quasi tutte composte da grafici) con le quali la Presidenza del Consiglio ha indicato a Tronchetti la via, si ha la netta impressione di trovarsi di fronte a un progetto industriale ben preciso. E c’è da chiedersi cos’altro sia questo approccio se non la volontà di influenzare le scelte di Telecom. D’altra parte che cosa può aver pensato Tronchetti? Nel momento in cui tutti sanno che è alla ricerca da tempo di soluzioni alternative (vedi il lungo negoziato con Rupert Murdoch) per migliorare la struttura finanziaria e azionaria di un gruppo appesantito da 41,3 miliardi di debiti e il cui titolo è in Borsa ai minimi storici, da Palazzo Chigi arriva una proposta. Che faccio: la ignoro?
Perché di questo si tratta: le prime 10 pagine del documento dipingono la situazione del gruppo in termini allarmistici, mettendo Tronchetti con le spalle al muro. Sì, è vero che la redditività di Telecom è buona, migliore di altri concorrenti, ma i debiti la stanno schiacciando. E tengono elevato il rischio di esposizione verso le banche «soprattutto dopo la fusione Sanpaolo-Intesa». Il tutto con «prospettive di crescita estremamente limitate». Si parla di mercato del fisso in declino, mercato del mobile saturo. Per questo Rovati, a pagina 7, riproduce lo spietato grafico dell’andamento del titolo, in costante calo dai 3 euro della fusione con Tim del gennaio 2005, fino al minimo di quota 2 euro di queste settimane. E conclude: o si fa qualcosa, o Telecom può essere facilmente scalata. C’è anche scritto come: basta che qualcuno lanci un’offerta sul 29% del capitale, con un premio del 25% sul prezzo stracciato di questi tempi e il gioco è fatto. Niente Opa (che scatta sopra il 30%) e con solo 10 miliardi (5 volte di meno di quanto pagò Colaninno nel ’99) ci si porta a casa il controllo di tutta Telecom. Sarebbe molto antipatico, dice Rovati a pagina 9, perché Tronchetti sarebbe rovinato, e per di più gli resterebbe il senso di colpa: anche lo Stato pagherebbe caro, con impatti negativi sull’occupazione e sulla competitività del sistema Paese. Come si fa a evitare questo disastro?
È spiegato nelle successive 18 pagine: va valutata un’operazione straordinaria sulla Rete fissa, che rende bene e che è un asset strategico del Paese. Ci sono due opzioni: lo scorporo, lasciando la Rete nel gruppo, ma separandola societariamente, e lo spin-off, con la cessione alla statale Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) del 30% e successiva quotazione in Borsa con ingresso di nuovi azionisti. In altri termini si parla della cessione della Rete. Seguono grafici e numeri che dimostrano, alfine, che quest’ultima ipotesi è la preferibile: solo con la cessione del capitale della Rete l’attuale proprietà incasserebbe una cifra nell’ordine dei 20 miliardi da destinare alla riduzione del debito. L’esborso, per Cdp, sarebbe di 5 miliardi. Compensato a livello pubblico dalla tassazione sulle plusvalenze realizzate da Telecom.
A gestire la Rete, a quel punto, non sarà più Telecom. Ma i suoi nuovi azionisti: la Cdp, le Fondazioni e magari la grande nuova superbanca del nord, Sanpaolo-Intesa. Con uno schema neo-statalista che è poi lo spirito ispiratore di tutta l’operazione. E del modello di politica economica che sta molto a cuore al Professore. Con la Cdp nei panni del nuovo Iri, e Giovanni Bazoli, numero uno del nascente colosso Sanpaolo-Intesa in pole position per il ruolo di banchiere di governo. O di Stato.

Con buona pace per l’economia di mercato.

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