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Le telefonate disperate a Yara: «Sono la mamma, torna a casa»

nostro inviato a Bergamo
Yara non c’era. E mamma Maura disperatamente la cercava. Una due, tre telefonate al giorno su quel cellulare che non voleva saperne di rispondere. Per settimane, mesi, fino a quel maledetto giorno di fine febbraio, quando qualcuno con le lacrime agli occhi le ha detto che no, basta, era tutto finito. Anche la speranza. Yara, la sua bambina, era stata abbandonata come una bambola di pezza lacerata in un campo di erbacce a dieci chilometri da casa. Morta, uccisa, non si sa ancora bene come e dove.
Al posto della voce della sua piccola ballerina, scomparsa in una fredda sera di Brembate, il secco, gelido, messaggio della segreteria. Mamma Maura, così, con voce rotta che provava a essere rassicurante, lanciava le sue invocazioni. Nella speranza che lei la potesse sentire. «Amore resisti, ti aspettiamo»; «Se riesci a recuperare il cellulare chiamami»; «Ti prego, chiama...torna presto a casa». E una volta, nell’illusione che dall’altra parte l’ascoltassero fantomatici rapitori: «Fateci sapere». Ad amici e parenti confidava: «Speriamo che la coprano bene...con questo freddo». Lo strazio in diretta telefonica. Intercettata.
Davvero la famiglia Gambirasio ci credeva, reggendo tre mesi il peso dell’angoscia fidandosi delle parole dell’immaginifico questore di Bergamo, Vincenzo Ricciardi: «Vi riporteremo vostra figlia viva a casa». Mentre i carabinieri scuotevano la testa, cupi, disillusi. Per dover di firma non potevano dire che loro stessero cercando non una bimba rapita ma il corpo di una tredicenne morta, frugando tra boschi e fiumi, coi georadar sotto il cemento del cantiere di Mapello. Alla faccia del coordinamento. Delle sinergie tra forze dell’ordine. Mentre il capo della polizia, Antonio Manganelli, in visita «straordinaria» a Bergamo vaticinava: «Io ho una mia idea, ma non la posso dire».
Adesso che tutto ricomincia dalla fine orribile resta la rabbia per un’indagine sbagliata. Nata male, senza dubbio sfortunata, di certo mal gestita, Procura in primis.
A Maura e Fulvio Gambirasio, restano tre figli da crescere. Lui ha ricominciato il lavoro, lo vedono la mattina di buon’ora in giro col furgone, a partir con operai stranieri da spedire a lavorare sui tetti; lei, assente dall’asilo dove fa la maestra, ieri mattina faceva la spesa in supermarket di Curno con il capo chino.
Non le hanno ancora restituito la salma della sua bambina. Dovrà attendere ancora settimane ascoltando ogni giorno una versione diversa su come sia stata massacrata sua figlia.
Le ultime indiscrezioni dicono che sia stata picchiata violentemente, forse colpita con un coltello- ma è molto più probabile un taglierino- dopo che fosse già svenuta. Difficile invece credere che i medici abbiano potuto riscontrare segni di strangolamento sul cadavere. Il corpo era in condizioni tali da non evidenziare questo tipo di traccia. «Impossibile trovare segni di strangolamento sulla pelle. Il collo era scarnificato», spiegano fonti della Procura. Più facile-come anticipato dal Giornale- che Yara sia morta soffocata dal suo stesso sangue, dopo un taglio alla gola.


Intanto si continua a scavare, cercando di riprodurre immagini cancellate di telecamere, lungo la strada tra Brembate e Chignola, ma soprattutto sperando negli esami dei Ris. Che qualcosa di strano, sugli indumenti hanno trovato.

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