Politica

Dal Telegraph a Dell’Utri: una caccia lunga 60 anni

Diari, carte, lettere scambiate con Churchill, documenti segreti. Ovviamente tutti appartenenti al Duce, quando non direttamente vergati di sua mano. Tutti occultati da decenni e miracolosamente riscoperti, oppure gelosamente custoditi e pronti a essere svelati. Sempre e certamente pieni di rivelazioni che darebbero un senso diverso alla fine, e alle azioni, di Benito Mussolini. Un tormentone che torna periodicamente nelle pagine dei quotidiani, e a proposito del quale gli storici litigano con impegno sulle riviste (più o meno specializzate). E a voler elencare tutti gli episodi che hanno risvegliato l’attenzione dei media si finirebbe per scrivere una piccola enciclopedia della fanta-storia. Limitandosi però a un résumé di minima ci sono almeno tre casi che vanno richiamati alla memoria.
Anno 1957: Rosa e Amalia Panvini, madre e figlia residenti a Vercelli, affermarono di aver reperito trenta volumi di «diari». Il materiale, all’inizio, convinse anche Vittorio Mussolini. Ci volle poco, però, perché i contenuti, sterminati ma loffi, si dimostrassero di seconda mano. Ci scappò una condanna.
Anno 1994: con grande clamore il settimanale inglese Sunday Telegraph - uno di quei giornali che sono sempre «autorevoli» - annuncia la scoperta dei «diari» del Duce e a conferma della autenticità offre l’expertise di storici di grande calibro come Brian Sullivan, dell’Istituto Studi Strategici di Washington. A presentare i documenti alla testata erano stati il produttore cinematografico sir Anthony Havelock-Allan e sua moglie Sara. Li avevano a loro volta ricevuti da un misterioso «Signor X», anonimo costruttore edile italiano, che sosteneva di averli trovati nella soffitta del padre. Un genitore con presunte amicizie importanti, tra le quali - fondamentale - «Pedro»: al secolo il conte Pier Bellini delle Stelle, il capo dei partigiani che nell’aprile del 1945 catturarono il Duce. Di fronte ai «diari» però la stessa famiglia Mussolini, a questo giro, rimane prudente, quasi scettica. Da allora quelle agende della Croce rossa, di cui circola qualche stralcio, ballano tra il vero e il falso senza che si arrivi a un verdetto. Ma nessuno le compra.
Anno 2007 nuovo capitolo: Marcello Dell’Utri annuncia a febbraio, a Udine, di essere entrato in possesso di cinque agende (sempre Croce rossa) di Mussolini, che coprono gli anni dal 1935 al 1939. Il senatore Pdl, noto bibliofilo, spiegò di aver visionato i testi tramite i figli di un partigiano che a Dongo arrestò il Duce e conservò i testi. Chi fosse questo partigiano, lesto nell’involare le carte del Duce, non si è mai capito. Anche perché, a oggi, ancora non si sa quanti furono ad aver tratto materialmente in arresto Mussolini. I soli nomi certi sono quelli di «Pedro» (Pier Bellini) e «Bill» (Urbano Lazzaro). Di sicuro c’è anche, e non è poco, che le carte rinvenute addosso al Duce e i valori furono inventariati da Urbano Lazzaro (e tra loro non c’erano diari) e consegnati al Commissario politico della brigata, il comunista «Pietro» (Michele Moretti).
Ma sul resto della vicenda e su cosa possa essere stato occultato, magari con il coinvolgimento dei servizi segreti inglesi, le teorie si sprecano. Ecco allora la battaglia di grafologi e di esperti su quelle carte (non si sono messi d’accordo nemmeno sull’inclinazione della scrittura di Mussolini). Quello che è certo secondo gli storici è che dai diari presentati da Dell’Utri - ma lui stesso lo ammette - emerge un Mussolini molto diverso da quello che conosciamo.

Ora nuovo colpo di scena: Della Morte e le sue carte. Saranno quelle buone o è solo un’altra mano della sciarada?

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