La letteratura e il cinema abbondano di panchine. Nasce su una panchina il «Primo amore», romanzo desordio di Samuel Beckett e si chiude su una panchina l'amore che Dostoievskij racconta ne «Le notti bianche». Bouvard e Pécuchet, di Gustave Flaubert, si incontrano a discettare su una panchina mentre in Italia la panchina entra in letteratura grazie al «Marcovaldo» di Italo Calvino. Oppure il romanzo «Il Maestro e Margherita» di Michail Bulgakov che apre e termina su una panchina di un parco moscovita. Anche nel cinema i sedili pubblici conoscono una rivalutazione sociale: da «La venticinquesima ora» di Spike Lee, a «Forrest Gump», che racconta la storia della sua vita seduto su una panchina. «Panchine» è anche il titolo dellultimo lavoro dello scrittore Beppe Sebaste (editori Laterza) perché «la panchina è l'ultimo simbolo - scrive tra laltro Sebaste - di qualcosa che non si compra, di un modo gratuito di trascorrere il tempo, di abitare la città e lo spazio». Anche larte contemporanea si occupa da qualche tempo di panchine. Si pensi al prototipo luminoso di Alberto Garutti sul Lungadige Donatelli di Verona, o alla monumentale installazione di Massimo Bertolini sulla piazza della fiera di Basilea, fino alla panchina di Christian Boltanski che sussurra agli innamorati in un parco del XIII Arrondissement di Parigi. O ancora alla panchina disegnata dal londinese Tom Dixon che si snoda per ben 75 metri; o al Boom Bench, altro sedile strano, che ha un impianto stereo integrato per diffondere musica trasmessa wireless direttamente dal telefonino. Disegnato dall'olandese Michael Schoner, è una trovata perfetta per gli amanti della break dance.
Contagiata da panchinomania anche la magistratura. Nel 2007 un giudice milanese pose agli arresti domiciliari su una panchina di piazza Aquileia un ladruncolo.
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