da Milano
Nella migliore delle ipotesi, sarà il classico dialogo tra sordi; nella peggiore, la due-giorni di negoziati tra Stati Uniti e Cina sullo spinosissimo tema dei rapporti commerciali si tradurrà in uno scontro aperto. Solo un miracolo negoziale sembra infatti poter garantire un successo del vertice, da oggi in corso a Washington, viste le premesse della vigilia. Lo dimostra lo scarso uso della diplomazia da parte degli attori principali: da una parte, il segretario Usa al Tesoro, Henry Paulson, dallaltra la vice premier cinese, Wu Yi, che si presenterà nella capitale Usa accompagnata da una delegazione di 14 alti funzionari, tra cui il governatore della Banca di Cina, Zhou Xiaochuan.
Il tradizionale fair play è costretto a cedere il passo davanti allostacolo costituito dal deficit commerciale accumulato dallAmerica nei confronti dellex Impero Celeste (233 miliardi di dollari lo scorso anno, un terzo dellintero disavanzo a stelle e strisce) e alle accuse di concorrenza sleale rivolte a Pechino dallamministrazione Bush. Così, i ripetuti inviti al dialogo «per risolvere ciò che pare irrisolvibile» cozzano con i toni un po troppo ruvidi utilizzati da Paulson: «Cè un crescente scetticismo in tutti e due i Paesi riguardo alle intenzioni dellaltro. Sfortunatamente - ha ammonito ieri -, in America si sta manifestando in forma di risentimento, poiché la Cina è diventata il simbolo degli effetti negativi, reali e immaginari della globalizzazione». Pechino non ha porto laltra guancia, anzi. Piccola e minuta, la signora Wu Yi ha subito tirato fuori gli artigli: «È inaccettabile politicizzare i temi economici e commerciali», è stata la piccata replica.
La distanza tra i due Paesi resta insomma siderale, e il gesto di conciliazione offerto dal gigante giallo lo scorso venerdì con lallargamento della banda di oscillazione dello yuan nei confronti del dollaro (dallo 0,3 allo 0,5%) non ha sortito alcun effetto. Al contrario, Paulson ha ribadito ancora una volta lurgenza di una sollecita riforma valutaria da parte del Paese asiatico: «Devono muoversi più velocemente», ha detto. Alcuni analisti ritengono che la moneta cinese sia mantenuta artificiosamente sottovalutata del 40%, in una sorta di dumping valutario che finisce per avvelenare i rapporti commerciali. Del resto, anche lUnione europea deve fare i conti con londata di prodotti made in China: nel bimestre gennaio-febbraio 2007, il passivo verso il Dragone è salito a 27 miliardi di euro contro i 21 dello stesso periodo dello scorso anno, a causa di importazioni cresciute del 24%.
Lagenda di Washington è fitta di richieste da avanzare a Pechino: dalla maggiore apertura dei mercati finanziari, al rispetto del copyright; dalla questione energetica, fino al nodo ambientale. Dallesito del summit dipenderanno in buona misura le misure che gli Usa potrebbero prendere nei confonti della Cina.
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