Enrico Lagattolla
da Eldoret (Kenia)
Sole alto, equatoriale. Eldoret, sette ore di macchina a nord di Nairobi, 2.086 metri sul livello del mare, aria rarefatta. Duemilacinquecento maratoneti, dai sei ai trentanni. Loccasione è il Discovering Kenia 2005, la manifestazione podistica che da otto anni scopre i nuovi talenti della maratona. E tra gli atleti più forti del mondo, il migliore arriva, stringe le mani di tutti, saluta, si presta alle foto. Anche così si diventa unicona. Essere Paul Tergat. Luomo che da dieci anni è ai vertici dellatletica mondiale, e che due anni fa a Berlino fermò il cronometro a 2 ore, 4 minuti e 55 secondi. Il record del mondo, da leggenda. Poi lepilogo inglorioso allOlimpiade di Atene, e lincubo dei 42.195 metri di Londra, solo ottavo, il 17 aprile scorso.
Paul Tergat, il Tower Bridge non è un bel ricordo.
«Cerano i migliori. E volevo esserci anchio, perché contro i migliori voglio sempre confrontarmi, e provare a vincere».
Cera anche Baldini. Ma la rivincita di Atene è andata male.
«Già. Baldini è un ottimo maratoneta. Grande atleta e grande uomo, ma so di poterlo battere. E a Londra volevo dimostrarlo».
Poi, però, non è andata così.
«Siamo umani, no?».
Qualcuno addebita la sconfitta di Atene a un tentativo di sequestro, avvenuto qualche giorno prima della gara, cui lei sarebbe fortunosamente scampato.
«È successo questo: a una decina di giorni dallinizio dellOlimpiade, hanno rapito un atleta keniota pensando che fossi io. Lhanno tenuto segregato per due notti, poi, resisi conto dellerrore, lhanno liberato. Ma nel frattempo la polizia è stata allertata, e la mia famiglia è stata messa sotto tutela. Non proprio lideale per prepararsi a una competizione».
Sia ad Atene che a Londra, però, è sembrato in difficoltà fisica, più che mentale. Ha sbagliato qualcosa in preparazione?
«No. Mi sono allenato benissimo e a lungo qui in Kenia, le rifiniture le ho fatte in Italia con il dottor Gabriele Rosa. Quando sono partito per Atene, ero convinto che avrei conquistato loro. E anche per Londra mi sentivo pronto. Nella gara olimpica, però, ci sono stati gran caldo e umidità insopportabile. E poi una bottiglietta dacqua mi ha tradito».
Un campione come lei «vittima» duna bottiglia dacqua?
«Sì. Ad Atene ho preso quella sbagliata. Non era la mia, cera dellacqua fredda, che in gara non bevo mai. Ho cominciato ad avere dolori allo stomaco, poi crampi. Non vedevo lora che finisse».
Torniamo allappuntamento di Londra. Come si era preparato?
«Allenamenti tutti i giorni, anche 250 km alla settimana, lunghi periodi in altura. Poi, qualche corsa minore per arrivare al massimo della forma in aprile».
Il 2h 1138 con cui ha chiuso la corsa non le si addice.
«Ho sofferto al bicipite femorale sinistro, meglio non potevo fare».
Ora non resta che Pechino...
«È presto per parlare di Olimpiade. Ho trentasei anni, comincio a ragionare a breve termine. Nel 2008 valuterò le mie condizioni fisiche, poi deciderò».
A proposito dei trentacinque anni. Ha individuato «eredi»?
«Il Kenia è ricco di talenti. Martin Lel non è più solo una promessa, e anche Evans Rutto ha dimostrato di poter fare grandi cose, vincendo la maratona di New York. I problemi sono altri: lorganizzazione, i tecnici, le strutture».
Se sedesse in federazione, potrebbe essere daiuto al suo Paese. Magari ad aggiudicarsi i giochi del 2016. Il ministro dello Sport, Ochillo Ayako, ha rilanciato la proposta chiedendo un impegno diretto dei campioni.
«LOlimpiade sarebbe una grande opportunità. Ma servono soldi, impianti e infrastrutture, più che Paul Tergat. La federazione non ha progetti per lo sport in Kenia, e il Paese sta perdendo la leadership nel settore. E onestamente, non ho in programma di entrare nella politica dello sport».
Anche per questo qualcuno laccusa di essere «egoista»?
«Per restare ai vertici della maratona per dieci anni devi saper gestire al meglio le energie, e pensare solo ai tuoi obiettivi».
E così è diventato cinque volte campione di «cross country». Pensa di correre ancora qualche campestre?
«La corsa campestre è una passione. Ma la maratona è la madre di tutte le corse.
Allora prima i meeting estivi e poi Pechino, giusto?
«Londra è alle spalle, ora vedremo come affrontare le prossime competizioni. Per Pechino, chissà. Glielho detto, siamo umani... ».
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