RomaTonino Di Pietro si sente lo tsunami in poppa. E fa partire di gran carriera la sua campagna referendaria, annunciando per sabato a Roma la manifestazione di apertura, con gran parterre di attori, cantanti e volti più o meno noti.
Il terremoto del Giappone e lallarme nucleare che cresce in tutto il mondo hanno ridato fiato a unoperazione che, fino a qualche giorno fa, pareva destinata con sicurezza al fallimento, tanto più dopo il rifiuto da parte del governo di abbinare la consultazione sui tre quesiti alle elezioni amministrative, che avrebbe aiutato il raggiungimento del quorum. Anzi, dal centrosinistra molti accusavano a mezza bocca Di Pietro di volere «fare lennesimo regalo a Berlusconi», che avrebbe potuto cantare vittoria con laffondamento dei tre quesiti. E in particolare di quello su cui inizialmente il leader di Italia dei Valori aveva investito di più, ossia la richiesta di abrogazione del legittimo impedimento. Un quesito ampiamente svuotato di senso dalla sentenza della Corte Costituzionale, e giudicato poco mobilitante per le masse.
Ora, invece, i dubbiosi di un tempo si affollano per salire sul carro dei referendum, anche perché la tragedia giapponese fa salire le probabilità che il quorum venga raggiunto, e che ci sia allorizzonte non un flop, ma una possibile vittoria su cui mettere il cappello. E naturalmente il referendum sul nucleare (infilato nel pacchetto da Di Pietro più che altro per attirare verso il suo partito un po di elettorato Verde e della sinistra alternativa) diventa centrale.
Ieri, con unintervista allUnità, il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha annunciato ufficialmente che il suo partito farà campagna per il sì, negando che sia una decisione assunta sullonda emotiva della catastrofe in corso: «Già prima di quanto accaduto in Giappone - spiega - noi avevamo ottime ragioni per essere contrari al piano nucleare. Anzi, a questo fanta-piano del governo, che non ha nessuna fattibilità, che è economicamente svantaggioso e che, prevedendo limpiego di tecnologie non nostre, ci renderebbe totalmente dipendenti da altri».
A confermare che si tratti di una decisione già presa, Bersani e i suoi rivendicano il fatto che già a febbraio lassemblea nazionale del Pd aveva votato a larghissima maggioranza un documento che lo schierava sul fronte anti-nucleare. «Se non avessi presentato quellordine del giorno e lassemblea non lavesse approvato - nota lex presidente di Legambiente Ermete Realacci, promotore del documento - oggi il Pd si sarebbe trovato imbambolato davanti agli eventi, a rincorrere Di Pietro. Invece la nostra posizione era già stata chiarita». Un colpo di fortuna, insomma. Con qualche mugugno, che però resta sottotraccia: è noto ad esempio che esponenti moderati come Enrico Letta hanno più volte sostenuto che «uscire dal nucleare fu un errore». Pur giudicando «del tutto irrealistico» il piano di rientro del governo Berlusconi. Il parlamentare Pd Francesco Tempestini chiede un «confronto serio», anche dentro il partito, sulla questione nucleare. Ma è una voce destinata a restare isolata. Il timore di finire al rimorchio di Di Pietro e della sua campagna viene negato: «Sui referendum ogni partito è libero di fare le proprie iniziative, lui farà le sue», dicono i collaboratori più stretti di Bersani.
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