Più controlli attorno agli obiettivi sensibili e un rafforzamento degli apparati di «intelligence». È questa la prima risposta dei responsabili milanesi della sicurezza alla bomba esplosa l’altra notte alla Bocconi. Attentato rivendicato dagli anarchici della Federazione informale.
La bomba, un tubo di metallo imbottito con un chilo di esplosivo, era nascosta nel tunnel che collega due corpi dell’Università Bocconi. Gli attentatori l’hanno lasciato con ogni probabilità martedì, con il chiaro scopo di non uccidere: il timer era puntato alle 3 di notte, quando il tunnel è chiuso. Un ordigno rudimentale tanto che all’ora «X» era saltato solo il detonatore, scheggiando il muro e tranciando alcuni cavi elettrici, lasciando inizialmente pensare a un corto circuito.
Solo in tarda mattinata si è capito che quei pezzi di metallo erano i resti di una «pipe bomb», rivendicata qualche ora dopo dalla Federazione anarchica informale, con un volantino recapitato al quotidiano «Libero». La Fai collega l’attentato al pacco bomba spedito da Milano, e questo dovrebbe circoscrivere le indagini alla Lombardia, e diretto al direttore del Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca, per combattere la politica italiana in materia di immigrazione. Ieri sera un nuovo allarme bomba in ateneo. Sul posto intervengono le forze dell’ordine ma, dopo le prime verifiche, ci si rende conto che si tratta solo di uno zainetto abbandonato.
Intanto le indagini, affidate alla Digos, appaio complesse. Molte sono infatti le telecamere dentro e fuori l’ateneo, ma nessuna nel tunnel. Hanno ripreso l’attentatore tra centinaia, di studenti ma non mentre colloca l’ordigno. Insomma solo un colpo di fortuna può consentire di riconoscere qualche «volto noto» tra la folla. Rimangono i frammenti dell’ordigno, da analizzare sia per cercare impronte o tracce biologiche sia per capire dove possano essere stati acquistati i diversi componenti. Insomma, ci vorrà parecchio tempo e i precedenti non sono rassicuranti. Il 20 aprile del 1999 un ordigno composto da candelotti di dinamite, ma privo di innesco per spaventare ma non uccidere, fu trovato sul davanzale di un’aula. Pressoché identica la rivendicazione: contro i centri d’accoglienza, ma anche il sistema capitalistico e la «guerra imperialistica» nei Balcani. Il clima politico già acceso, fa però temere agli investigatori che questo non rimanga un episodio isolato. Ieri è stato convocato un vertice tra il Prefetto Gian Valerio Lombardi, il questore Vincenzo Indolfi, i Comandanti Provinciali dei Carabinieri, Sergio Pascali, e della Guardia di Finanza Generale, Attilio Iodice.
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