L'allarme dei servizi segreti Usa. I sospetti sui terroristi ceceni e i dubbi a Kiev sugli 007 russi

Tra i possibili autori dell’attacco gruppi con base nel Caucaso. Ma ucraini e partigiani accusano il Cremlino: vogliono far ricadere la colpa su di noi

L'allarme dei servizi segreti Usa. I sospetti sui terroristi ceceni e i dubbi a Kiev sugli 007 russi
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In Russia non si chiama strategia della tensione. Ma negli ultimi 25 anni la storia tormentata dell’ex Unione Sovietica è un susseguirsi di sanguinosi episodi rimasti oscuri, ambiguamente soggetti a divergenti interpretazioni e che spesso hanno lambito le frange più misteriose del potere moscovita.
Le prime immagini della strage di ieri rimandano immediatamente al commando ceceno che diede l’assalto al teatro Dubrovka, sempre a Mosca. Era il 23 ottobre del 2002 e un gruppo di 40 militanti armati che chiedevano il ritiro immediato delle forze russe dalla Cecenia, prese in ostaggio 850 persone, mentre la rappresentazione teatrale era ancora in corso.

Tre giorni durò l’assedio, con immagini e video che giornalisti intraprendenti riuscivano a far filtrare dall’interno dell’edificio. Alla fine il blitz delle forze speciali, con l’uso di un potente agente chimico mai esattamente identificato, provocò circa 200 morti compresi quasi tutti i terroristi. Chi diede l’ordine di attaccare? Perché le operazioni furono condotte in un modo quasi dilettantesco? Come avevano fatto i terroristi pesantemente armati ad arrivare fino al centro della capitale senza il minimo problema? Tutte domande che ancora oggi aspettano una risposta. Nel caso odierno a rendere più inquietante l’analogia è l’allarme lanciato dall’ambasciata americana di Mosca che esattamente due settimane fa, alla vigilia del week end, invitò i connazionali a mantenersi lontani da grandi folle e sale da concerti, citando la possibilità che gruppi di estremisti entrassero presto in azione.

Una volta stabilita la possibile origine cecena degli assalitori, per individuare i responsabili bisognerebbe orientarsi tra i gruppi ostili all’attuale proconsole putinano della regione Ramzan Kadyrov. I dissidenti, che non hanno mai accettato la pace conclusa con i russi dal padre di Ramzan, Ahmad (non a caso morto in un attentato), hanno poi combattuto in Siria e sono ora impegnati nel conflitto a fianco delle truppe ucraine: si parla di un paio di migliaia di persone ordinate in battaglioni intitolati a famosi comandanti caucasici come lo Sceicco Mansour o Dzhokhar Dudayev. In questo caso l’obiettivo dell’attacco sarebbe immediatamente comprensibile: destabilizzare l’opinione pubblica russa, già alle prese con una possibile nuova mobilitazione militare. E quanto il Cremlino tema questa eventualità potrebbe essere testimoniato dal fatto che per tutta la serata di ieri i canali televisivi di regime hanno continuato a trasmettere l’ordinaria programmazione fatta di show e cartoni animati.

Ma per il momento questa è solo una delle interpretazioni e a Mosca nulla è mai chiaro. Sia le forze di sicurezza ucraine sia i partigiani della Legione Russia libera hanno accusato il Cremlino di una operazione condotta secondo il modello della cosiddetta «false flag», portata cioè a termine per far ricadere le accuse sugli avversari. C’è già chi si è spinto a rievocare una delle vicende più inquietanti e meno chiare dell’ascesa al potere di Putin: la cosiddetta bomba di Ryazan.

Tutto accade nel 1999: una serie di attentati a base di bombe piazzate in tranquilli edifici residenziali causa centinaia di morti. Secondo le prime indagini i terroristi sono indipendentisti del Daghestan (regione vicina alla Cecenia), la Russia vive nella psicosi. Per Putin, allora premier ma già con un occhio alla Presidenza, è l’occasione di mostrare il volto da duro, senza pietà contro i terroristi. A Ryazan, non lontano da Mosca, un attentato viene sventato e in poche ore i responsabili arrestati. Solo che si tratta di tre agenti del Fsb.

Interviene il capo del servizio segreto Patrushev, ancora oggi al fianco di Putin, che fa subito liberare i suoi uomini spiegando che non si trattava di un attentato, ma solo di un’esercitazione.

Tra gli uomini più convinti che a ordinare gli attentati fosse stato Putin c’era Aleksander Litvinenko, l’ex spia uccisa con il plutonio.

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