Terzo smacco, la serie nera del governo

Il governo incassa una nuova sconfitta dopo le bocciature del Tar sul caso Rai e Fiamme gialle

da Milano

Se il ministero dell’Economia voleva un regalo Speciale per Natale, è stato accontentato. Il supplemento di indagine ordinato dal gip di Roma è l’ennesima sconfitta in pochi giorni per l’esecutivo: ogni volta che Prodi e C. cercano di silurare chi non è in linea, lo fanno maldestramente. Via Angelo Maria Petroni dal consiglio di amministrazione Rai: e il Tar lo reintegra. Via il generale Roberto Speciale dal comando generale della Guardia di finanza: e prima il Tar definisce «illegittima» la rimozione dell’alto ufficiale ordinando un risarcimento di tre milioni di euro, poi il gip dispone di approfondire l’inchiesta che il pm voleva archiviare.
Petroni era l’ago della bilancia del Cda Rai. Anche Speciale ricopriva un ruolo chiave: era il superiore dei quattro ufficiali che indagavano a Milano sulle scalate bancarie dei «furbetti del quartierino», in particolare sull’operazione Unipol-Bnl. È stato lui a contrapporsi al viceministro Vincenzo Visco che aveva deciso di trasferire i suoi uomini.
Chi tocca i fili che reggono il potere del centrosinistra resta fulminato. Come il pm Clementina Forleo: denunciò che Massimo D’Alema telefonò alla procura di Milano per fare pressioni sull’inchiesta che lo riguardava, e che in seguito il procuratore generale Blandini le chiese di soprassedere.
Sono vicende per molti versi parallele, quelle di Speciale e del gip Forleo. Il caso del generale della Gdf scoppia nella primavera scorsa, il 22 maggio, quando il Giornale pubblica il verbale di una deposizione di Speciale: «Visco minacciò gravi conseguenze se non avessi rimosso gli ufficiali che indagavano sulla scalata a Bnl da parte di Unipol. Dovevo trasferire i militari senza motivo», aveva detto il comandante delle Fiamme gialle rivelando le ingerenze del viceministro ds che allora aveva le deleghe sulla Gdf.
Scoppia il finimondo. Il centrodestra chiede le dimissioni di Visco, il governo minimizza, spuntano altri tre verbali di interrogatori a generali della Finanza (Favaro, Pappa e Spaziante) che accusano Visco, contro il quale si accumulano le testimonianze di chi era presente alle telefonate e dodici lettere tra i protagonisti del caso con la prova delle ingerenze.
Il 1° giugno, per salvare il viceministro, il governo decide di togliergli la delega sulla Guardia di finanza ma contemporaneamente di cacciare Speciale, sostituendolo con il generale Cosimo D’Arrigo. A Speciale viene proposta la ricca poltrona di consigliere della Corte dei conti, la magistratura contabile; ma l’alto ufficiale rifiuta.
L’esecutivo Prodi è sottoposto all’ennesimo scossone, Di Pietro minaccia la crisi, tuttavia la bufera politica passa. Si apre però la vicenda giudiziaria. Il 28 giugno Visco viene indagato dalla procura di Roma per tentato abuso d’ufficio e presunte minacce nei confronti di Speciale per sollecitare l’avvicendamento degli ufficiali che indagavano su Giovanni Consorte e la scalata Unipol-Bnl. L’operazione che fece esclamare al segretario ds Piero Fassino: «Abbiamo una banca».
Da parte sua, il generale apre un secondo fronte ricorrendo alla giustizia amministrativa: un suo ricorso al Tar del Lazio chiede di sospendere e annullare il decreto con cui è stato rimosso dalle funzioni di comandante generale della Gdf.
A metà settembre il pm Angelantonio Racanelli chiede l’archiviazione per Visco: il suo è stato sì un «comportamento illegittimo ma non illecito, dunque privo di rilevanza penale». Ma ieri è arrivato il no del gip Antonino Stipo a questa richiesta di archiviazione. E pochi giorni fa il Tar ha accolto il ricorso di Speciale contro la rimozione accordandogli un risarcimento di tre milioni di euro.
Anche il giudice Clementina Forleo ha denunciato pressioni sul suo lavoro esercitate da un componente del governo Prodi. Dopo aver esaminato le 73 telefonate intercettate e depositate agli atti (conversazioni in cui compaiono D’Alema, Fassino, Latorre, Comincioli, Cicu e Grillo), il gip ha ritenuto che 68 di esse (tra cui quella in cui D’Alema esulta con Consorte: «Vai, facci sognare») avevano rilevanza penale non solo per i «furbetti» ma anche per i politici.
A luglio ha chiesto al Senato di poter utilizzare le intercettazioni come prova di reato.

Ma in seguito la Forleo ha denunciato le pressioni del ministro degli Esteri sulla procura di Milano affinché lasciasse perdere. «Il procuratore Mario Blandini mi disse che D’Alema era preoccupato», ha detto il gip nell’audizione al Csm. Che ha chiesto il trasferimento del magistrato. Destino segnato per chi tocca la sinistra.

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