Ormai, vedete, è quasi una rubrica quotidiana. Sulle nostre pagine, gli articoli sul Terzo Valico non mancano mai. Siamo ai limiti dellossessione. Forse qualcosina oltre. Ma la nostra ossessione - di Paola Setti, di Ferruccio Repetti, mia e di tutti i colleghi del Giornale - per il Terzo Valico, è in realtà unossessione per il bene di Genova e della Liguria, per il futuro della nostra città e della nostra regione, per pensare che ci possa essere unaltra sorte oltre a quella di un lento e inesorabile declino, quasi una morte per inedia. Genova, oggi, è come un pupazzo di neve quando torna la primavera. É stato bellissimo, in molti si sono fermati a giocarci, in moltissimi lhanno ammirato dicendo quanto era grande e affascinante, ma ormai si sta sciogliendo inesorabilmente. Senza che coloro che dovrebbero occuparsene facciano nulla per salvaguardarne la speranza di un futuro. Anzi, sono proprio coloro che dovrebbero portare il ghiaccio nuovo che accendono fuochi a fianco del pupazzo, accelerandone lo scioglimento. Loro pensano alloggi, al piccolo cabotaggio. O al dopodomani, allAffresco. Senza sapere che, senza Terzo Valico, non solo non cè Affresco, ma non cè nemmeno uno schizzo. Questa è Genova, oggi.
Ecco perchè la nostra è unossessione. Certo, è anche vero che fra i genovesi che hanno risposto ai questionari distribuiti in occasione dei gazebo antifinanziaria, il Terzo Valico non è una priorità per nessuno o quasi. I genovesi preferiscono parlare di buche nelle strade. E ci sta anche. Ma è giusto che un partito si occupi sia delle buche, sia di un progetto e di un modello di sviluppo per il futuro della città e del porto. E il Terzo Valico è la base di questo progetto.
Lobiezione che proprio non sta in piedi - e che pure arriva da molti ambienti di sinistra, ma non lascia insensibili anche alcuni del centrodestra - è che «per vincere occorre parlare più di sociale e meno di Terzo Valico». Niente di più sbagliato: soprattutto perchè il Terzo Valico è il sociale, nientaltro che il sociale.
Uninfrastruttura che mira a dare un futuro alla città, che riuscirebbe a garantire un futuro ai nostri figli, non costringendoli ad emigrare per cercare un lavoro, ma che avvicini Genova a Milano e Torino, a meno di unora di treno, cosaltro è se non sociale? La possibilità di restare nella nostra città, di non disperdere patrimonio e identità, di non alzare bandiera bianca anche in porto, salvaguardando migliaia di posti di lavoro, cosè se non sociale?
Lidea che Genova possa perdere anche i traffici portuali che arrivano dal selvaggio Est è un suicidio puro. Il nostro porto garantisce sei giorni in meno di viaggio rispetto a Rotterdam.
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