I bambini di oggi conoscono soltanto un mulino: sforna merendine, biscotti e dispensa sorrisi. Ma ben prima dell'avvento dell'era industriale, i mulini hanno svolto per secoli un ruolo di primo piano nello sviluppo economico della civiltà moderna. Testimoni della storia da migliaia di anni, fin dal 100 a.C., secolo in cui si può far risalire la loro nascita. Chi nasce oggi in città forse non ne vedrà mai neppure uno. Proprio i mulini - e in particolare quelli sorti in Valbormida - sono al centro dello studio di Fausto Bagnus, pubblicato nel volume «I mulini ad acqua nella storia e in alta Val Bormida», edito dalla Editoriale europea con il contributo dell'assessorato alla Cultura del Comune di Carcare.
L'oggetto di studio, manco a dirlo, è di nicchia. Soprattutto da cinquant'anni a questa parte, da quando cioè i mulini ad acqua sono stati soppiantati dall'energia elettrica e dall'espansione industriale anche in Italia. Eppure il loro ruolo non è di poco peso, se consideriamo che persino Marc Bloch, uno dei padri della moderna ricerca storica, se n'è occupato in uno dei suoi studi sul feudalesimo. Ma oggi dell'antica funzione dei mulini non resta pressoché nulla. In ogni zona d'Italia troviamo tracce più o meno evidenti della loro esistenza. Bagnus è andato alla scoperta di quelli in Valbormida attraverso lo studio di carte e atti notarili, ricorrendo anche a testimonianze orali. E in effetti anche in Liguria come nel resto dello Stivale, è possibile trovar in ogni paese i ruderi di quello che è ormai relegato all'immaginario collettivo: la casetta in pietra, il ruscello, la ruota con le pale spinte dalla forza dell'acqua. E quelli che ancora mantengono le sembianze o paiono addirittura in funzione, hanno in realtà un cuore fatto di cilindri a energia elettrica. «I principali mulini in Valbormida di cui ho ricostruito la storia - spiega Bagnus - sono sei o sette. Per un mulino di Carcare, ad esempio, sono riuscito a reperire due atti notarili, di cui uno risalente addirittura al 1206, l'altro al 1624».
Quello di Bagnus non è però un libro come tutti gli altri. Si tratta invece del lavoro di un neo-dottore in ricerca storica all'università di Genova. Fresco di laurea, punteggio 110 e lode, alla bell'età di 65 anni. Un curriculum universitario da far invidia alla gran parte dei giovani studenti, avvantaggiati a quanto pare solo nella teoria.
Prima di indossare le vesti di matricola a sessant'anni, Bagnus ha svolto l'attività di responsabile della centrale termoelettrica in Ferrania. Ma l'età della pensione si è rivelata per lui la più verde. È da quando ha lasciato il posto di lavoro che ha potuto rispolverare i suoi interessi, la sua innata passione per la storia. Una passione che lo ha portato a iscriversi, col suo diploma di perito in tasca, alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Genova. «Rimettersi sui libri non è stato facile - racconta - ma devo dire che mi ha motivato la forte passione per la ricerca storica. La laurea è stata per me un'immensa gratificazione, ancora di più lo è stata la pubblicazione di questa mia tesi». L'idea di pubblicarla è arrivata dal suo relatore, che ha apprezzato il lavoro di Bagnus al punto da suggerirgli di trasformarlo in un libro.
Il saggio, ci racconta, è il risultato di un lavoro durato due anni, in contemporanea con lo svolgimento del corso di studi, concluso in regola con gli esami dopo cinque anni. Senza dubbio uno dei pochissimi pensionati di oggi a essersi laureato con il «3+2», laurea triennale e specialistica.
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