«In casa mia un caveau non è mai esistito». Così ieri mattina Calisto Tanzi stoppa - o perlomeno ci prova - lultima ondata di notizie su uno dei misteri più duraturi della cronaca giudiziaria italiana: il «tesoro» di Parmalat, il maltolto cui da anni magistrati e creditori danno la caccia senza risultati, e di cui sono emerse le tracce in una inchiesta televisiva di «Report». La trasmissione della Gabanelli aveva intervistato una guardia del corpo di Tanzi secondo cui nei giorni immediatamente precedenti il crac della azienda di Collecchio un carico dal valore incalcolabile era stato prelevato dalla villa di famiglia, caricato su un furgone e trasportato verso la Svizzera. A comporre il prezioso carico, tra laltro, ci sarebbero stati un Van Gogh, un Manet e altri capolavori.
Vero o non vero? Ieri uno degli avvocati di Tanzi, Gian Piero Biancolella, dice che la storia non sta in piedi: «Almeno per quanto mia a conoscenza, siamo nel campo dellinverosimile - dice Biancolella - lunico quadro comprato da Tanzi con i soldi di Parmalat era un Picabia che è stato restituito allazienda. Daltronde i beni di Tanzi sono stati passati al microscopio, e gli unici oggetti di valore sequestrati durante le indagini si è scoperto che appartenevano alla famiglia della moglie, e infatti sono stati restituiti alla signora».
Ieri, nellaula del processo per bancarotta in corso a Parma, Tanzi è tornato a parlare dei finanziamenti a esponenti politici: «Berlusconi aveva chiesto un aiuto per fondare il suo partito. Partecipai ad una riunione ad Arcore assieme ad altri imprenditori e lui ci disse che fare pubblicità sulle sue reti andava bene ugualmente».
Nel corso delle indagini preliminari, Tanzi era stato più trasversale, e aveva parlato di finanziamenti a Casini, Alemanno, La Loggia, Prodi, D' Alema, De Mita, Burlando e altri esponenti di destra e di sinistra. In totale, dalle casse del gruppo di Collecchio erano usciti in direzione dei partiti - secondo la ricostruzione della Guardia di finanza - quattordici milioni di euro.
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