LA TESTIMONIANZA ALBERTO TORREGIANI

Milano Le «gesta» di Cesare il proletario armato le porta ancora addosso. Precisamente dalla sera di quel 16 febbraio 1979. Alberto Torregiani, all’epoca quindicenne, stava aprendo la gioielleria di famiglia a Milano assieme al padre Pierluigi, assassinato da Battisti con un colpo alla testa per «vendicare» l’uccisione di un loro compagno in una precedente rapina, di cui il commerciante era stato testimone. E il ragazzo, ferito alla schiena, rimane paralizzato. Trent’anni dopo l’orologio si attorciglia per Alberto Torregiani come per i parenti delle altre tre vittime accertate del terrorista rosso: Antonio Santoro, guardia carceraria, Lino Sabbadin, macellaio iscritto al Msi, Andrea Campagna, agente della Digos.
«Che dire: è stato un risveglio un po’... particolare. È assurdo quello che sta succedendo, è come se fossimo tornati al punti di partenza». Nessun desiderio di rivalsa, oggi Torregiani chiede soltanto giustizia. «Bisogna riprendere in mano la situazione e fare qualcosa di veramente serio per noi vittime. Come sempre calpestati dalle decisioni che vengono dall’alto», ripete al Giornale. Sono spiazzanti le notizie che arrivano dal Brasile, dove Battisti ha appena ottenuto lo status di rifugiato politico. Eppure Torregiani non s’è arreso. «Ho fiducia nell’iter giudiziario. Per ottenere giustizia ci sarà però da lottare e non stare fermi. Continuo a dirlo: le buone parole non bastano più», è la conclusione. Torregiani torna con la memoria alla disgrazia che l’ha investito nel ’79: «Sono stato colpito dall’unico colpo sparato da mio padre nel tentativo di difendersi dall’aggressione di Battisti. Fa parte della vita, da allora sto su una carrozzina. Ma mio padre ha cercato di difendersi, ora spetta a me difendere le sua azioni e quelle delle altre vittime». A chi discute di perdono Torregiani fa sapere che «personalmente non l’ho mai avuto né da Battisti né dagli altri componenti dei Pac (Proletari armati per il comunismo, ndr). Ma penso sia molto difficile da parte loro prendersi questa responsabilità, perché è la più importante, perché significa prendere coscienza di quello che hanno fatto». Torregiani resta scettico. C’è spazio anche per un appello al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. «Il ministro sa esattamente cosa deve essere fatto - confida -. Quello che chiediamo a lui è di essere più ponderato e deciso e intervenire sulla giustizia italiana. Per avere la fiducia dei cittadini, un governo deve tutelarne i diritti.
Il confronto prosegue a distanza, nella giornata dei tg e della «doccia fredda». Torregiani ha sentito immediatamente le altre famiglie distrutte dal gruppo di fuoco di Battisti. «Siamo sconcertati per questa decisione del governo brasiliano, però sappiamo quello che dobbiamo fare». Servirà alzare la voce? «Cambieremo strategia.

L’impressione è che il silenzio, la moderazione e la pacatezza non paghino se si vuole essere ascoltati. È ora che le istituzioni agiscano dal nostro punto di vista. Quello di chi ha vissuto e rivive ogni giorno il terrore sulla propria pelle».

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