La testimonianza: "I terroristi se la sono cercata"

Nel caffè di Gerusalemme Est dove si radunano gli intellettuali arabi: basta con gli estremismi

Gerusalemme - «Questi di Hamas sono pazzi. Intendiamoci: che lo fossero lo sapevo già. Ma pazzi fino a questo punto...».

Walid mi viene incontro dalla porta di Erode sventolando una mano in segno di saluto e stringendosi con l'altra il bavero dell'impermeabile. Pioviggina, tira vento, vapori lenti salgono dalla valle di Giosafatte. All'intorno è un mortorio. I negozi, nella zona araba della città, sono chiusi in segno di lutto per i fatti di Gaza. Gente, all'imbrunire, da contarsi sulle dita. Gruppi di turisti si aggirano costernati. Cercavano un po' di colore, qualche souvenir. Hanno trovato saracinesce abbassate e silenzio.

Cinquantasette anni, alto, magro, baffetti curati alla David Niven, Walid è un vecchio amico, uno di quei palestinesi moderati che già guardavano a Yassir Arafat e alla sua Olp come a una sventura per la sua gente. «Il vecchio era un trafficone inconcludente - dice -; ma dalla sua morte è stato un lento rotolare verso il fanatismo, verso la rovina. Tutto si estremizza». Proprietario di uno dei più frequentati caffè di Gerusalemme est (da lui si ritrovano intellettuali, commercianti, professionisti, studenti, vecchi proprietari terrieri) Walid è uno di quegli osservatori privilegiati che ha imparato, nei decenni, a sentire il polso della città. «Abbiamo chiuso tutti, in segno di rispetto, ci mancherebbe - mi racconta facendomi passare sotto la saracinesca tenuta a mezz'asta prima di riaccendere la caldaia della vecchia macchina italiana per l'espresso di rito -. Ma non pensare che ci sia poi questo grande appoggio nei confronti di quelli di Gaza. Non c'è qui in città e non c'è neppure nei Territori, al di là delle manifestazioni di facciata. Dispiace per i civili, per i bambini, per i morti innocenti. Questo è fuori discussione. Ma stavolta quelli di Hamas se la sono proprio cercata, commettendo un errore madornale».

E se fosse stato un errore voluto? Una provocazione intenzionale? «Sì, può essere. Le immagini che fanno girare sui loro canali tv puntano naturalmente a mettere l'accento sullo sfacelo provocato dagli israeliani. Ma evitano di raccontare che gli obiettivi dei bombardieri erano militari, e che ad essere colpiti sono stati i tunnel di Rafah, le caserme, le installazioni che nascondevano le rampe per il lancio dei razzi. La gente però sa, intuisce. La gente sa che senza quelle demenziali provocazioni, quegli ordigni lanciati alla cieca verso Israele molti bambini palestinesi, padri, mariti, donne, sarebbero vivi».

Walid non si illude. Come molti dei suoi clienti con cui si commentano i fatti del giorno, tra una sigaretta e un caffè, anche lui sa che per Hamas questa è una partita mortale. Il loro obiettivo è il tempo. Durare. Tenere sulla corda un nemico che ha forze enormemente superiori. Stringendo intorno al collo dei palestinesi intrappolati nella Striscia un gigantesco nodo scorsoio pensato e fabbricato dagli ayatollah iraniani. Fuori, sul marciapiede, la pioggia ha ripreso a cadere insistente. Rare figure passano correndo, tenendosi una borsa, un giornale sul capo, davanti alle vetrine del caffè rigate di pioggia.

Di Abu Mazen, presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Walid pensa quel che pensano tutti, nel suo locale. «È il nostro presidente, è una brava persona. È ancora convinto di poter dialogare con quelli di Hamas, risparmiando alla gente di Gaza la prospettiva di diventare un protettorato dell'Iran, uno Stato islamico in miniatura».

Stamani il caffè di Walid riapre. I tavolini saranno affollati, come sempre. Qui vengono strani palestinesi. Palestinesi che vorrebbero mandare i figli a studiare all'estero, in vacanza in Italia, come ragazzi normali. Palestinesi convinti che una pace con Israele è possibile.

Anche stamani si sfoglieranno i giornali, si commenteranno i titoli, i proclami di Bush, quelli della Ue, le minacce del governo israeliano, e si aspetterà la reazione di Hamas e della Jihad. Perché il micidiale, perverso gioco dell'oca tra arabi e israeliani ancora non finisce.

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