Da anni è abituata a entrare nelle case di milioni d’italiani col telegiornale. Ma sabato prossimo, dalle 15 alle 18, davanti ai manifestanti radunati sulla spianata di San Giovanni in Laterano, lì dove comizianti e sindacalisti mostrano i muscoli, lì dove si celebrano i funerali di popolo per i Togliatti e i Berlinguer, lì dove s’officia la liturgia rockpolitik del 1˚ maggio, sarà diverso, accidenti se sarà diverso. E allora come farà Paoletta, col suo metro e 63 di grazia femminile, ad affrontare quell’immenso palcoscenico allestito nella sua Roma? Dove troverà la forza, dove le parole? «Mi affiderò al rosarietto che porto sempre con me».
I diminutivi sembrano infondere energia a Paola Rivetta, che per un giorno lascia il Tg5 delle 13 e s’improvvisa conduttrice del Family day, organizzato a sostegno della famiglia da 21 associazioni d’ispirazione cattolica. Del resto la giornalista confessa che fu «una sculturina di gesso, alta appena 60 centimetri, artisticamente insignificante», a cambiarle la vita. Era il 2000 e lei stava attraversando un momento difficile. «Il 7 ottobre fui mandata in San Pietro. Papa Wojtyla avrebbe recitato il rosario davanti alla statua della Madonna portata da Fatima, quella che conserva incastonato nella corona il proiettile sparato da Alì Agca contro GiovanniPaoloII. E lì, conscia del privilegio d’aver potuto saltare l’interminabile fila di pellegrini, mi ritrovai a pregare. Ero soggiogata da una soavità che non saprei descrivere. Quella Madonnina esercitava su di me un magnetismo misterioso, non potevo staccarmene. Mi venne spontaneo dirle: “Ti affido la mia vita”. Subito fui pervasa da una serenità straordinaria. All’uscita dalla basilica, l’operatore non si dava pace: “Paola, tutte le immagini sono sfuocate”. Ma come?, lo rimproverai, hai avuto mezz’ora per girarle! “Non capisco, zoomavo, zoomavo,ma era impossibilemettere a fuoco l’immagine della Madonna”. Guardai il filmato. Tutto vero: inutilizzabile. Che cos’era accaduto? Da allora c’è un prima e un dopo nella mia vita. Quattro anni fa ho avuto un bambino. L’ho chiamato Andrea Maria in onore della Vergine. A 10 mesi l’ho portato a Fatima. Non sono una fanatica, non ero mai stata prima in pellegrinaggio. Ma l’avevo tanto cercato, questo figlio, ed è arrivato».
L’anno dopo Paola
Rivetta ha raddoppiato,
Lourdes, «durante
la prima messa del
mattino pioveva a dirotto
e così il celebrante
ci ha fatto entrare
nella Grotta, è
un luogo dove senti la
presenza di Dio»,
sempre accompagnata
dal marito Sebastiano
Sterpa, giornalista
di Studio aperto
a Italia 1, «s’è fatto
persino i bagni nell’acqua benedetta
delle piscine», sorride, consapevole
di come il figlio di Egidio Sterpa,
parlamentare liberale di lungo
corso che fu tra i fondatori del Giornale con Indro Montanelli,
abbia rinunciato
per amore a un po’ del
laico scetticismo che si porta nel genoma.
E poi a Taizé da frère Roger,
«che struggente il ricordo di
quel vecchio monaco vestito di
bianco che s’allontana nella luce
del tramonto tenuto per mano dai
bambini», ancora una volta in tre,
insieme, perché la famiglia è sacra
tutti i giorni dell’anno, per la conduttrice
del Tg5, e non solo in questo
12 maggio che s’avvicina.
Dacché le è nato un figlio, Paola
Rivetta ha rinunciato persino a
cambiare la sua acqua di colonia,
Melograno di Santa Maria Novella,
«per lui è l’odore della mamma,
quando non sono in casa affonda la
testa nel cuscino e mi ritrova», e se
le fai notare che persino il cannibale
Hannibal Lecter si riforniva nella
leggendaria Officina profumo-farmaceutica
di Firenze, trasalisce:
«Oh, Gesù!». Eppure non ha proprio
nulla della santificetur, questa
donna di 44anni dal trucco accuratissimo e dalle unghie laccate,
nonostante
il monitor del suo computer
sia l’unico, fra i 70 della redazione
del Tg5 alloggiata nell’immenso
open space sul Colle Palatino, che
abbia come salvaschermo un’immagine
di Karol Wojtyla con le
braccia protese verso la moltitudinedi
giovani radunati a Tor Vergata
(«che notte, quella notte!»).
Che cosa sia una famiglia Paola
l’ha imparato dai genitori, Tito Guido,
piemontese, e Rosita detta Sissi,
lucana, felicemente sposati da
58anni nonostantele vivaci discussioni
sull’Unità d’Italia. Il vero cognome
sarebbe Rivetta di Solonghello.
Suo padre, nobile di Casale
Monferrato, era unfunzionario della
Fao. Lo chiamavano «il conte
rosso», perché aveva organizzato
il primo sindacato dentro l’organismo
dell’Onu. Paola ha cominciato
a girare il mondo prestissimo con i
suoi. Aveva 6 anni quando visitò la
sede delle Nazioni Unite aGinevra,
8 quando varcò la soglia del Palazzo
di Vetro a NewYork.
A scrivere quando cominciò?
«A 6anni. Fiabe. Le rilegavo e vendevo
i libretti nel corridoio di casa,
5 lire a copia. “Da grande farò la
scrittrice”, giuravo. Invece dopo la
laurea in politica internazionale
ho pensato che fosse più divertente
entrare nella vita degli altri».
Come c’è riuscita?
«Con un pezzo sull’osteria Da Cesaretto
di via Della Croce, frequentata
da scrittori, registi, pittori. Nel
1985 lo portai a Silvano Rizza del
Messaggero, che me lo fece rifare
tre volte. Alla quarta depose la matita rossoblù:“
Ora puoi consegnarlo
al capocronista”. Entrai nell’ufficio
di Vittorio Roidi, oggi segretario
dell’Ordine nazionale dei giornalisti,
con le gambe che mi tremavano.
Fu pubblicato. Qualche anno
dopo mi trasferii a Milano, a Rete
A, diretta da Emilio Fede, che aveva
appena lasciato la Rai. Mi insegnò
come stare in video, come impostare
la voce di petto anziché di
testa, come offrire un’immagine
semplice di sé. Mai scegliersi un
ruolo da interpretare. In Tv passa
chi sei, passa tutto».
E poi?
«Tornai a Roma. Fui assunta al primo
Studio aperto, quello delle dirette
sulla guerra del Golfo. In pratica
sono al Tg5 da
prima che ci fosse il
Tg5».
Suo marito come
l’ha conosciuto?
«Nell’aprile 1994 ci
trovammo a fare anticamera con un’unica troupe per intervistare
Carlo Scognamiglio.
Il presidente
del Senato ritardò di
tre ore.Giusto iltempo
per fidanzarci.
Un mese dopo Sebastiano
chiese: “Mi
sposi?”. A ottobre lo
sposai».
C’è competizione
fra voi?
«Io tifo per lui, lui tifa
per me».
E vostro figlio?
«Quando vede mamma al
tiggì, dà i bacini
al teleschermo.
Ho cercato di spiegargli
il nostro lavoro,
ma alla parola
“giornalisti” s’è messo
a ridere come un matto».
Che cosa chiede, secondo lei, il
pubblico alla Tv?
«Compagnia. Una voce. La gente si
sente sola».
Se un giorno diventasse direttore
di un telegiornale, sarebbe disposta
a tener su l’audience con un
mix di sesso e cronaca nera?
«No. Non succederà mai».
Fuori da Mediaset, chi è lacollega
che stima di più?
«Daria Bignardi».
E il collega?
«Bruno Vespa».
Se la togliessero dal video, andrebbe
in crisi d’astinenza?
«Mi dispiacerebbe. Ma nella vita
prima o poi tutto finisce. Non puoi
andare in onda fino a 60 anni».
Le piace essere riconosciuta per
strada?
«Non molto. Sono timida. Certo mi
commosse,q uando andai per il terremoto
in Umbria, sentirmi dire
dalla gente dei container: “Paoletta,
ti vediamo in Tv e ci passa la
paura”. Paoletta è come mi chiamano i
miei genitori».
È incline alla commozione: pianse
in diretta per Papa Wojtyla.
«Era il 1˚ aprile, il giorno prima
che morisse. La collega Marina Ricci mi chiamòdal
Vaticano e mi dettò
l’ultimo bollettino medico che
non lasciava più speranze. Lo trascrissi
in fretta e corsi davanti alla
telecamera. Mentre lo leggevo, mi
presero dei singhiozzi irrefrenabili.
Mi sentivo orfana. Riuscii a leggerlo
sino alla fine, ma sempre
piangendo. Il direttore Carlo Rossella mi consolò:“
Hai tirato fuori la
tua umanità. In un momento estremo
ci può stare anche questo”. Il
vicedirettore Andrea Pamparana
non era in redazione. Mi mandò un
Sms: “Non preoccuparti.
Tutto il mondo
piange con te”».
Era molto affezionata
a Wojtyla.
«Non si poteva non
esserlo. Era un uomo che ti
attraversava
con lo sguardo.
L’ho seguito per dieci
anni. È stato un
privilegio poterlo
raccontare. Ha battezzato miofiglio
nella
Cappella Sistina.
Dovette farlo da seduto,
perché era già
molto malato, ma
quando vedeva i
bambini s’illuminava.
Le sue battute ti
spiazzavano. Nel
1996, durante gli auguri natalizi
della Curia
romana, mi fu
consentito di salutarlo
al seguito dei cardinali. “
Oh,finalmente
una donna!”,
esclamò, e mi diede
un buffetto sulla guancia».
A BenedettoXVI ha fatto gli auguri
in diretta per gli 80 anni.
«L’idea è stata del direttore».
È vero che Rossella ha un suo crocifisso
personale e lo appende in
tutti gli uffici dei giornali o dei tiggì
che gli affidano?
«Sì, un crocifisso umile, di legno,
che ebbe in dono da un prete».
Qual è la percentuale di cattolici
praticanti in redazione?
«Un 40 per cento, a voler essere
ottimisti».
Che spazio hanno le notizie positive
sulla famiglia nei telegiornali?
«Poco. Le notizie positive sulla famiglia
non fanno notizia».
Chi le ha chiesto di presentare il
Family day?
«L’hanno chiesto gli organizzatori
al mio direttore. Io pensavo a
un’ospitata in studio. Quando mi è
stato spiegato di che si trattava, ho
avuto un mancamento. Piazza San
Giovanni è la madre di tutte piazze
e io in pubblico ho presentato solo
qualche premio letterario».
Non c’entrerà con la visita che il
cardinale Camillo Ruini è venuto
a farvi al Tg5?
«No, per niente. Fra l’altro la redazione
s’è divisa, non tutti l’hanno
gradita. Io invecene sono stata felice.
Era la Settimana santa. Una volta
s’impartiva la benedizione pasquale
delle case e questa è la nostra
seconda casa».
Quante persone s’aspetta sabato?
«M’aspetto tanti bambini. Per una
volta la piazza non sarà né di sinistra,
né di destra. Sarà dei nostri
figli. Ne avrò molti anche accanto a
me, insieme a personaggi dello
spettacolo e testimonial famosi».
Parlerà a braccio o dovrà leggere
ciò che altri hanno scritto per lei?
«Andrò a braccio. Ci sono abituata.
Al Tg5 non abbiamo il gobbo
elettronico. Lo eliminò Mentana».
La sua spalla sarà Giovanni Muciaccia,
il presentatore che deve
più a Fiorello che ad Art attack,
cresciuto sotto la protezione di padre
Pio.
«Lo spero. Ma ancora non si sa se
laWalt Disney corporation gli darà
il permesso».
Mi fa venire in mente ciò che mi
disse Ettore Bernabei, mitico direttore generale della
Rai:«La televisione
è etimologicamente
atea perché negli Usa soltanto il7
per cento di quelli che ci lavorano
crede in Dio».
«Bernabei ha ragione. È questa
gente che fa la Tv atea per gli americani
e per il resto del mondo».
Pare che i promotori del Family
day avessero interpellato Francesco
Giorgino del Tg1, ma che la
Rai gli abbia impedito di partecipare.
«Quello che so io, è che il suo direttore
Riotta non l’ha autorizzato».
Eppure il Tg5 nel 1996 aveva lasciato
libero il vicedirettore Lamberto
Sposini di presentare una
convention dell’Ulivo.
«È un problema culturale di questo Paese.
Ci sono scelte considerate
politicamente scorrette. Prestare
il volto per una manifestazione
cattolica rientra fra queste».
Poi dicono che Silvio Berlusconi è
un editore liberticida.
«Lavoro a Mediaset da 18 anni.
Non sono pochi.Qui i direttori hanno
sempre fatto ciò che volevano».
Inutile girarci intorno: lei si mette
al servizio di una manifestazione
che divide il governo, l’opposizione,
le coscienze, il Paese.
«Ne sono consapevole. E non me lo
spiego, perché non è una manifestazione
“contro”, bensì “per”. La
famiglia è centrale, insostituibile.
È il riferimento nella vita di tutti.
Senza famiglia non esisteremmo».
Sul palco dovrà presentare il cantautore
Giuseppe Povia, che ha
fatto sapere d’essere favorevole
ai Dico e anche alla fecondazione
assistita eterologa, peraltro bocciata
a larghissima maggioranza
dagli italiani con un referendum.
Bella contraddizione.
«Non si può pensare di portare in
piazza un monolito.È benec he Povia
ci sia: canta lo stupore dei bambini.
Ma su come farli nascere ho
opinioni diametralmente opposte
alle sue. Un buon metodo per decidere
sulla liceità della fecondazione eterologa è proprio
questo: mettere
al centro i bambini. Come fai a
raccontare a un figlio che suo padre
è uno spermatozoo anonimo e
sua madre un ovulo congelato?».
Che cosa pensa dei Dico?
«Che sono inutili. A che serve riconoscere
pubblicamente un’unione
che già ora può essere garantita
col diritto privato? Sei contrario al
matrimonio in chiesa? Spòsati in
municipio. Ma se non
vuoi sposarti... Mi pare
una contraddizione di
termini, un gran
pasticcio che maschera
un preciso obiettivo:
dare legittimità alle
unioni omosessuali
per arrivare in un secondo tempo alle adozioni
gay».
In Europa sono rimaste
solo Italia, Grecia
e Austria a non avere
una legge che regoli
le convivenze di
fatto.
«Non è detto che la
maggioranza abbia
sempre ragione. Anzi.
C’è un cospicuo bacino
elettorale legato
a questa battaglia.
Schierarsi per i Dico
rende».
Pensa che la famiglia
sia minacciata?
«Sì, dal relativismo
etico. Giovanni Paolo
II ci aveva profeticamente
avvertiti dieci anni fa: “La
famiglia soffre,èal centrodelgrande
combattimento tra il bene e il
male, tra la vita e la morte, tra
l’amore e quanto all’amore sio ppone”
».
Teme che l’Unione europea in
prospettiva voglia arrivare a sancire
il matrimonio fra coppie dello
stesso sesso?
«Penso che la Ue stia scivolando
verso posizioni sempre più anticristiane.
È un processo erosivo, di abbattimento
dei valori.
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