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Tiger nel tempio del golf è sempre più fenomeno

Il fuoriclasse conquista il British Open, suo decimo titolo del Grande Slam Discreta prova di Edoardo Molinari

Mario Camicia

L’Open Championship è il campionato professionistico per antonomasia: il più antico, il più classico, il più prestigioso. Ma quando il campo di gara è quello dell’Old Course di St. Andrews - tempio del golf mondiale - quando in gara scende per l’ultima volta Jack Nicklaus, mito indistruttibile del gioco «antico e reale» e quando a vincere è Tiger Woods, suo degno erede e fenomeno vivente di questo sport, lo spettacolo già di per sé, anche se annunciato, tocca i suoi vertici più alti ed indimenticabili. Tutto questo è stato il 134° Open Championship, in uno scenario reso ancora più suggestivo dalle oltre 200mila persone, che hanno fatto da corona a quattro giorni di gara indimenticabili, e da un cielo azzurro che ha reso ancor più bello il paesaggio del Fife e della Mecca del golf. Quando un Tiger Woods, tornato ai suoi più alti valori agonistici, prende il comando fin dalla prima giornata, il destino di un torneo del Grande Slam è quasi inevitabilmente già segnato. E così è stato anche per questo Open Championship dove, malgrado la buona volontà e la classe dei campioni in campo, c’è stato ben poco da fare per loro contro un Tiger ormai deciso a ribadire la sua supremazia che qualcuno aveva, negli ultimi due anni, messo in dubbio. A St. Andrews si sono visti un grande e ritrovato Olazabal, un Montgomerie finalmente in corsa per l’Open più prestigioso al mondo e tanti altri campioni, da Singh a Goosen a Campbell, recente vincitore dell’Open degli Stati Uniti, e ancora tanti altri cercare di fermare il passo - o la corsa? - inarrestabile del «fenomeno» americano. Niente da fare, anche se sulle prime nove buche dell’ultimo giro sia Olazabal prima che Montgomerie - supportato dal suo pubblico tutto scozzese - poi abbiano cercato di fermare l’inarrestabile, di cambiare una storia che era apparsa già scritta dopo la prima giornata. Tiger alla fine ha non vinto, ha trionfato, come già aveva fatto proprio a St. Andrews nell’Open del millennio. Onore a Montgomerie, arrivato secondo a 5 colpi di distacco, onore anche ad Olazabal, terzo insieme al sempre grande Fred Couples, onore a tutti, ma «The Open» non poteva avere vincitore più degno. Togliere la scena a Tiger è cosa impossibile, ma a St. Andrews è successo anche questo.Quello di St. Andrews è stato anche l’Open di Edoardo Molinari, splendido campione dilettante italiano che, dopo essere riuscito nell’impresa di vincere una delle qualificazioni finali, ha portato a termine - primo nella storia del golf dilettantistico italiano - i quattro giri del torneo. È arrivato 60°, calando di tono negli ultimi due giri, ma l’impresa resta di quelle indimenticabili.
Scendendo con i piedi per terra da sottolineare, anche se meriterebbe più spazio, il Texbond Open, torneo del Challenge Tour svoltosi a Gardagolf e vinto dallo svedese Frederik Widmark.

È giusto parlarne perché è dal Challenge che escono i futuri grandi campioni ed è sul Challenge che il nostro golf deve puntare per allevare le nuove leve, ma torneremo a parlare di questo argomento.

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