«Tigri? Ne potrete vedere tante quante sono le zanzare nell'immenso pantano dove sfocia il Gange». Così m'aveva garantito una esperta guida indiana, e non le avevo creduto. Quasi tutte le guide esagerano, quelle indiane, di molto. Ma lo seguii perché ero in India e intendevo farmi portare «in quel pantano», ovvero lo spazio dove sorge dalle acque un dedalo d'isolette. Sono dette Sunderbunds e là l'Emilio Salgari della Giungla Nera, ambientò le più mirabolanti avventure dei suoi eroi. Ed io m'ero riproposto, in giorni di celebrazioni salgariane, di rileggere qualcuna delle sue pagine per trovar conferma, o smentita, della sua fantasia, come autore di grandi avventure. Se lo ritenevo poco attendibile nelle sue informazioni, ho dovuto ricredermi. Né lui né la guida che mi condusse nei Sunderbunds aveva esagerato sulla presenza dei feroci e splendidi felini in quell'area vasta più o meno come la Lombardia.
Appena ne varcammo il confine, disegnato da acque di mille canali tra mille isole coperte di fitta foresta, non fummo obbligati ad attendere molto l'apparizione della padrona di casa. La barca accostò una di quelle isole e ci nascondemmo nella fitta vegetazione. Poco prima del sorgere dell'aurora due lampi verdi brillano nei cespugli, riflesso degli occhi di una tigre venuta ad addentare la preda da noi offerta, una capra lasciata sulla riva. Il felino addentò l'esca senza che noi si udisse un solo fruscio.
Mi sarebbe piaciuto accendere i due riflettori di bordo, o scattare un lampo col flash della macchina fotografica, ma la guida era stata categorica: «Tornerà solo se nessuno disturberà la sua prima apparizione. Se nessuno ora la disturberà». La tigre, infatti, appena si trova una preda tra i denti, ne beve subito il sangue ancora caldo. Placa la sua fame, ma è di difficile digestione ed è obbligata a muoversi senza sosta per togliersi il peso che ha sullo stomaco. Marcia ininterrottamente per tre, quattro o cinque ore, poi, affranta dalla fatica, s'accascia e dorme. Un'ora, due. Solo quand'è ripresa dall'appetito, si risveglia e torna dove ha lasciato la sua vittima.
Accadde proprio questo con la «nostra» tigre: aveva assaggiato l'esca alle quattro del mattino, tornò alle undici, in pieno sole e concluse il suo pasto là dove aveva nascosto i resti del capretto, tra i cespugli, lungo l'argine del canale melmoso.
Concludo la cronaca per sottolineare che una decina d'anni dopo l'esperienza vissuta nel luogo dov'era stato così facile far la posta a una tigre (ed ebbi la prova che Salgari scriveva più verità di quanto i suoi critici sostengano) le guide non conducono più i loro clienti ad assistere a un simile violento spettacolo. Le tigri sono ormai solo un ricordo, nei Sunderbunds sono state tutte sterminate. Per far soldi, a palate.
È vero che l'Occidente proibisce l'importazione di pelli pregiate; ma altri mercati sopravvivono. In Cina e in tutto l'Est Asia, un teschio di tigre può essere pagato sino a cinquemilatrecento sterline e una pelliccia intera non ha prezzo. Alcune parti del suo corpo sono considerate un potente afrodisiaco e per esser cotte e mangiate, si vendono a 14mila sterline al chilo. Sono cifre divulgate dalla banca dati del National Board of Wildlife di Londra. In proposito lo scrittore indiano Thapar che ha pubblicato numerosi libri sulla tigre, ha commentato: «Solo un miracolo potrà consentire alla nostra tigre di sopravvivere libera nel subcontinente indiano». Dove, secondo lo stesso Board of Wildlife, ne restano ormai meno di milletrecento. Scomparsa dovuta non solo ai cacciatori e al mercato della sua pelliccia, delle sue parti più commerciabili, ma all'estendersi delle zone coltivate in quelle aree che Salgari e Kipling chiamavano «giungla». Dove scompare, scompare anche la tigre.
La fitta foresta tropicale, ambiente perfetto per consentire a un essere selvaggio di vivere e riprodursi, è salva ormai solo in due aree protette, il Kanha Tiger Reserve, nella zona del Madhya Pradesh, e il Corbett Tiger Reserve nella zona dell'Uttaranchal. Il turista in quei luoghi potrà ancora osservarle, le tigri. Ma in condizioni non molto diverse da quelle che offre un grande giardino zoologico. Con buona pace di Kipling e di Salgari.
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