Mentre negli Usa Sergio Marchionne riceve ringraziamenti per il risanamento di Chrysler, in Italia l'atteggiamento verso il piano di rilancio di Fiat da parte di Cgil e Fiom, della sinistra arancione e della sinistra al caviale dei salotti snob è opposto. Si va dalla pioggia di ricorsi alla magistratura del lavor , con cui Cgil e Fiom cercano di bloccare il contratto aziendale, che è alla base del progetto di investimento di Fiat in Italia, agli insulti a Marchionne, non solo da parte di «mani ignote» sui muri, ma anche da parte di La7 mediante una parodia, piena di livore e scarsa di umorismo, del comico Maurizio Crozza, messa in onda con una strana coincidenza. Fiat, ora, è al 52% di Chrysler che è tornata alla piena redditività. Ne nasce un gruppo internazionale di grandi dimensioni, con punti di forza negli Usa, ma anche in Paesi emergenti in grande sviluppo, come il Brasile. Il successo di Marchionne negli Usa, è stato messo in dubbio molte volte , sostenendo che il recupero di Chrysler era molto difficile. Poi il successo di Auburn Hills è stato considerato con una alzata di spalle, sostenendo che non serve a Fiat, perché i modelli torinesi di piccole auto non sono adatti agli Usa. Ma il progetto, considerato con scetticismo, di vendere la 500 in America, sta funzionando. Si era anche avanzata un'altra critica: che Fiat perde quota sul mercato italiano, perché non sta aggiornando i modelli. Ma ora anche le vendite del gruppo sono in ripresa.
Dunque, i tentativi di descrivere Marchionne come poco più di un magliaro, a uno a uno, cadono. Ma restano il livore contro di lui e contro la nuova Fiat da parte di Cgil e Fiom, di gran parte dei partiti di sinistra e di influenti gruppi del mondo degli affari. I ricorsi di Fiom e Cgil alla magistratura possono bloccare i nuovo contratti aziendali Fiat e far saltare il progetto di Fabbrica Italia che comporta investimenti per 20 miliardi. Il 18 giugno ci sarà la prima udienza a carico della Newco di Pomigliano, in cui si discuterà il ricorso della Fiom.
La Confindustria di Emma Marcegaglia non difende Fiat in questa controversia e non fa nulla per agevolarla. Fiat si vede costretta a uscire da Confindustria, perché questa non ha disdetto gli accordi sindacali precedenti all’ultimo contratto per i metalmeccanici firmato da quasi tutti i sindacati tranne che da Fiom-Cgil, e quindi la Cgil è in grado di sostenere che quei vecchi accordi, che essa aveva firmato, sono ancora validi. Perché tanta acrimonia contro la nuova Fiat di Marchionne e John Elkann?. La riposta è duplice. Da un lato Marchionne, in un certo mondo meschino dell’alta finanza e dell'economia, ha una colpa simile a quella che ha Silvio Berlusconi: ha avuto successo negli affari e snobba i salotti della sinistra al caviale. Dall’altro, la nuova Fiat dichiara che non vuole aiuti dello Stato, ma in cambio vuole anche essere libera da condizionamenti politici e da interferenze nei suoi piani aziendali e, quindi, non accetta la concertazione nazionale tra governo, sindacati guidati dalla Cgil (una sorta di «Ulivo sindacale» ) e Confindustria. Cesare Damiano, responsabile per il Lavoro del Pd alla Camera, lo ha spiegato chiaramente in Commissione, affermando: «Noi vogliamo che Fiat si sviluppi per il bene del Paese e che attraverso questo obbiettivo realizzi innovazione, nuovi modelli di produzione e occupazione. Per riprendere il cammino e fare in modo che tutti cambino atteggiamento, è fondamentale proporre la strada del dialogo e della concertazione e abbandonare quella dei fatti compiuti e dei monologhi». Ma è assurdo che le imprese che stanno sul mercato debbano prendere gli ordini dal governo e dai sindacati. È l’azienda che deve stabilire come spendere i 20 miliardi di «Fabbrica Italia», perché è lei che ci mette i soldi e che ha il compito di garantire i posti di lavoro in cambio dell’adesione dei sindacati al contratto di produttività.
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