Mentre oggi siamo ossessionati dal rito delle vacanze, da trascorrere tra paesaggi esotici e lontani, al mare o sui monti, c'è stato un tempo in cui muoversi da casa era considerato sconveniente. Di più: inutile. Poi le cose sono cambiate e sul finir del Quattrocento e ancor di più nel Cinquecento il paesaggio comincia a diventare qualcosa di più di un semplice sfondo. Non si accontenta più di essere una comparsa, magari sfumata, in secondo piano, ma si arroga il ruolo di protagonista della pittura. Se tutto questo è accaduto, lo dobbiamo a Tiziano. Fu lui, in una lettera datata 1552 e mandata all'imperatore Filippo II, a usare per la prima volta la parola «paesaggio» per spiegare la natura che stava ritraendo su tavola. Una mostra a Palazzo Reale di Milano da oggi ci racconta tutto questo: «Tiziano e la nascita del paesaggio moderno» (fino al 20 maggio) è un bella passeggiata tra una cinquantina di dipinti di area veneta che contribuirono, nel corso del Cinquecento, a trasformare il modo di ritrarre la natura su tela.
La curatela della mostra - con prestiti dalla National Gallery di Londra e, tra gli altri, anche dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia e dagli Uffizi - è di Mauro Lucco: il percorso inizia con la «Crocifissione nel paesaggio» di Giovanni Bellini, un quadro che ci racconta meglio di tante cronache com'erano strutturate le antiche città italiane. A ridosso delle mura della città ritratta sullo sfondo della Crocifissione, si vedono vigneti, edere, campi coltivati: «La campagna esisteva solo in rapporto alla città: il paesaggio era armonico, controllato. Ovunque regnava la misura», commenta Mauro Lucco, fine conoscitore della pittura veneta. Con Giorgione (bel colpo il prestito dagli Uffizi de «La prova del fuoco di Mosé») tutto cambia: la natura è più confusa, selvatica, incontrollabile. Tiziano impara la lezione dei maestri, ma prende una strada tutta sua (in mostra la celebre «Sacra Conversazione»): fa della natura un po' ciò che vuole, ora ritraendola nei suoi aspetti più belli e magnifici, ora in quelli più spaventosi. Sono gli anni in cui, in pittura, i veneti cominciano a dipingere i fuochi, i temporali, i lampi, la natura che si ribella (anche perché è devastata dall'uomo: i saccheggi turchi erano temutissimi).
Eppure, in letteratura, c'è ancora chi vagheggia una mitica età dell'oro, con greggi al pascolo, ruscelli tranquilli e idilliache campagne: è il napoletano Jacopo Sannazaro e il suo poemetto «Arcadia» (nella prima edizione del 1504) non a caso è esposto in mostra a Palazzo Reale.
La passeggiata tra il paesaggio veneto prosegue tra vedute idealizzate e dipinti che paiono fotografie, come quelli di Cima da Conegliano (grazie a un lavoro di computer grafica si evidenzia come il paesaggio della cittadina veneta sia ancora oggi fedele a quello ritratto dal pittore cinquecentesco). Tra le firme note al grande pubblico ed esposte in mostra, quelle di Palma il Vecchio, Paolo Veronese, Jacopo Bassano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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