Toh, c’è anche il Pd di Manhattan E naturalmente non vota per il Pd

Un euro per la metro e uno per votare. Un’ora per arrivare in un circolo Pd dall’intonaco scrostato e malinconico, per aspettare in diligente coda che la compagna dal cappotto infeltrito metta la croce sul suo preferito ricordando i bei tempi di Prodi. My Gosh, che esperienza straziante, che aberrante sfoggio popolano di partecipazione. Vuoi mettere prenotare un biglietto di business a mille dollari, farsi servire un Martini mentre il Boeing sorvola le Azzorre e architettare le meravigliose e progressive sorti della sinistra italiana da Manhattan, con vista su Washington Square?
Così, mentre il segretario Bersani si «rimbocca le maniche» e parla di «partito-bocciofila» e deve pure andare in tv a fare figure da cioccolataio elencando ovvietà da Fazio, dall’altra parte dell’Atlantico brinda la solita intellighenzia dell’impegno politico a-patto-che-sia-esercitato-ad-almeno-sei-fusi-orari-di-distanza. Oggetto di design ideologico, stavolta, il leader sognatore Nichi Vendola, che nella sua galoppata elettorale libera e felice per gli Stati Uniti, alla fine si è fermato a pascolare a New York, ospite del Circolo Pd di Manhattan.
Curioso. Qui il partito vede Vendola come il fumo negli occhi, una minaccia alla dirigenza, un «papa straniero» opposto all’impero della nomenklatura. Laggiù, invece, dove i coccodrilli vengon fuori dalla doccia e dove il veltronismo è di casa, Nick è l’ennesimo «nuovo Obama». Prospettive diverse, differenti sensibilità. Qui, il tentativo di riappropriarsi del territorio. Laggiù lounge, brunch & glamour nella Casa Italiana Zerilli Marimò, sede della cultura italo-americana che fa tanto contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare. Docenti di origine italica e fede progressista, la figlia di Veltroni Martina, una claque illuminata pronta ad acclamare Vendola, «che ricorda Berlinguer quando parla di moralità».
Che entusiasmi genuini suscita questo leader comunista dal cuore d’oro come l’orecchino, che sa parlare le melodiose sillabe del terzomondismo, della libertà e dell’ecologia come un Che glabro. Al «laboratorio per il meridione» c’era la segretaria del circolo Pd newyorchese, Anna Di Lellio; c’era Gianluca Galletto, rappresentante nordamericano del partito. C’era la crème brûlée dell’idealismo, che si pasce di «bellezza», «sogno» e «pace». Delle questioni tecniche, poi, si occuperanno quelli usciti dall’istituto professionale del partito. Quelli che si sono lievemente risentiti quando hanno trovato la homepage del sito del Circolo Pd statunitense monopolizzata dal governatore di Sel. Un’americanata, avranno pensato Bersani, D’Alema e compagnia, che agli Usa hanno sempre preferito la Cccp. Tanto che non è pellegrina l’idea che abbiano pure imitato Alberto Sordi: «La bellezza politica» di Vendola? Ammazza che zozzeria, la damo ar gatto.


E d’altronde è inutile, questo Pd è un frattale che si divide all’infinito e quando si è diviso abbastanza in Italia prova a dividersi pure in America, separando leader, programmi, parole d’ordine e riferimenti, anche se uno slogan sembra non essere mai passato di moda: quello di un profetico Nanni Moretti, che nel 1973 si chiedeva «siamo seri, ma che ci frega a noi delle masse?». Il film si chiamava La sconfitta. Ma stranamente non era ambientato a New York.

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