«Tommy non è stato ucciso perché piangeva»

I detenuti in rivolta contro Alessi e i suoi complici. Al figlio del muratore forse verrà cambiato il cognome

Andrea Acquarone

nostro inviato a Parma

Le campane, oggi, rintoccano a morto. A Parma, dove una città piange da una settimana un piccino strappato alla vita da due infami balordi che nemmeno confessano il perché. E dall'Italia intera, attonita, ammutolita di fronte a tanto scempio. E che mai come adesso chiede giustizia. Dura, senza sconti, una volta tanto «definitiva». È troppo stavolta il disgusto, la rabbia di una nazione che per un mese aveva adottato, come fosse il figlio di tutti noi, Tommaso, questo bimbo di diciassette mesi strappato ai suoi genitori in una sera di fine inverno. E massacrato. Era il 2 marzo.
Fu ucciso subito dopo il sequestro il piccino, una delle poche certezze nelle mani degli investigatori. Chi fu l'assassino materiale è ancora un mezzo mistero, così come il motivo della sua fine atroce. Carabinieri, poliziotti della squadra mobile di Parma, detective vari spediti dall'intelligence investigativa romana, ancora lavorano per scoprirlo. Manca la quadratura del cerchio. Lucia Musti, la pm della Dda di Bologna, anche lei madre, forse l'unica capace di tenere i nervi saldi in quest'indagine sincopata dal dolore, anche ieri ha dovuto ripeterlo: «Ci sono ancora molti aspetti da chiarire. È evidente che sarebbe importante sapere perché il bambino sia stato ammazzato. Ma di certo non perché piangeva. Non ci risulta. Potrebbe essere stato un caso, un input omicidiario, ma potrebbero esserci degli altri motivi che non conosciamo e per i quali stiamo lavorando», chiarisce. «Sicuramente Tommy è stato ucciso poco dopo essere stato sequestrato. Non sappiamo bene quando, sappiamo che il bambino è morto praticamente subito».
Manca sempre uno straccio di movente. Estorsione, vendetta nei confronti del padre, o qualcosa di ancor più indicibile? «Sono i fronti sui quali si continua a indagare, come su molti altri aspetti che sono tuttora da chiarire», spiega il magistrato. Mario Alessi, il muratore imputato numero uno, intanto dal carcere di via Burla, al suo avvocato, ripete: «Non ho ucciso Tommaso». Mente come faceva davanti alle telecamere della tv prima che venisse ritrovato il cadavere del suo ostaggio? Laura Ferraboschi, la legale, in questi giorni è subissata dalle minacce. Difficile difendere l'uomo che tutti considerano un mostro. Ieri mattina in cella lo ha incontrato. «Come sta mia moglie?», ha chiesto Alessi. Poi un pensiero al figlio di sei anni, cardiopatico: «E Giuseppe?». Dal giorno dell'arresto dei suoi genitori il bambino vive con la nonna, Cosima Faggiano, la mamma di Antonella. Lei ha chiesto di potergli cambiare il cognome a questo bimbo che ancora non può capire. Sapere. Ma oggi marchiato dall'infamia del padre. Infamia che ad Alessi rinfacciano gli altri detenuti del carcere di Parma. Contro il rapitore e i suoi complici ogni giorno si leva la protesta, le urla dei carcerati che gridano «bastardi» ai sequestratori e carnefici del piccolo Tommy.
Tommaso Raimondi, il ventisettenne sbandato, l'altro protagonista, di questa orribile storia ancora senza senso, sembra tranquillo dietro le sbarre. Anche lui si proclama innocente. Accusando, sempre, come ha fatto fin dalla prima confessione, Alessi. Per strada, mentre entra nel suo studio in Borgo Garimberti, un uomo su uno scooter apostrofa la sua avvocatessa: «Si vergogni a fare quel mestiere che fa. Si vergogni, se ne vada!». Ultimo di una lunga serie di «avvertimenti».
Mentre Parma piange gli inquirenti provano a trovare il bandolo della matassa. Ripercorrendo all'indietro tutte le piste. Cercando i tasselli mancanti al puzzle di questo giallo. Le indiscrezioni dicono che sia stato nuovamente ascoltato a Bologna dal Procuratore aggiunto Silverio Piro, coordinatore della Dda, Pasquale Gagliostro, l'aspirante pentito calabrese che pochi giorni dopo il sequestro di Tommy aveva raccontato una storia inquietante. Sostenendo di essere stato contattato lo scorso agosto per un sequestro lampo da compiere ai danni della famiglia di un direttore delle poste di Parma, che poi aveva riconosciuto in tv in Paolo Onofri. «Non so se sia stato interrogato ieri - spiega il suo difensore, Pasquale Barbieri -. Sicuramente era stato sentito dai giudici lo scorso 25 marzo. Gli investigatori non hanno mai abbandonato la pista. Tanto è vero che hanno controllato il traffico telefonico del mio assistito e sequestrato il cellulare per verificare se e chi lo aveva contattato in agosto».
«Non sapevo nemmeno il cognome della persona da rapinare - riferì ai magistrati Gagliostro -, conoscevo però il volto del direttore dell'ufficio postale che le persone che mi avevano proposto di partecipare al sequestro lampo mi avevano indicato come vittima. Il piano prevedeva il sequestro di tutta la famiglia.

Avremmo dovuto tenere in ostaggio la sua famiglia per costringerlo a consegnarci i soldi delle Poste».
Ma allora, perché entrare in azione alle 7,15 della sera. Passando una notte in bianco, a tenere sotto tiro un'intera famiglia. Si poteva fare al mattino, all'alba, questo sporco lavoro.

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