«La tonnara di Camogli muore, aiutateci»

Luisa Castellini

Sono una dozzina. Mattinieri e di poche parole, come la tradizione vuole che siano i pescatori. Non amano raccontare cosa combinano in mare e attirare l’attenzione. Ma oggi sono costretti a parlare e a gran voce.
Sono i pescatori della Tonnara di Camogli, custodi di una tradizione antichissima, di cui si ha notizia già nel lontano ’600, quando i tonni passavano numerosi sotto Punta Chiappa, diretti verso il Mediterraneo per il «viaggio dell’amore», la riproduzione.
Da allora di tempo n’è passato e da vent’anni a questa parte, i tonni sono solo un ricordo. Inquinamento e diporto li hanno costretti a cambiare rotta ma i pescatori non si arrendono e continuano - testardi - a solcare il mare come quattrocento anni fa.
Ad aprile portano le barche sotto il Monte di Portofino e calano, come i loro predecessori, il «pedale», una rete di cocco lunga 340 metri che sbarra il cammino dei pesci, costringendoli verso la «camera di raccolta». Da lì a quella «della morte», ove si consumerà la loro fine con le «levate», il passo è breve. Ma in quest’antichissimo dedalo di reti i tonni non arrivano più. Per fortuna ci sono i loro «cugini»: pesce azzurro, palamiti, tombarelli e ricciole, che permettono alla tonnara di sopravvivere. O almeno così è stato, fino a un paio d'anni fa. Anche questi iniziano a scarseggiare e la tonnara rischia di chiudere per sempre, parola di Mario Mortola e Simone Gambazza, rispettivamente Direttore e Presidente della Cooperativa di Camogli. Nata nel '74, conta una cinquantina di persone. Coordina le uscite in mare e le vendite del pescato ma non riesce più a mantenere la tonnara. I normali incentivi per la pesca non bastano a sostenerne il costo. Serve altro, un aiuto da parte di chi si occupa di tradizione, turismo e cultura. «La Tonnara di Camogli è un antico patrimonio ligure ed è una delle poche ancora attive in Italia. Con il calo del pescato si rischia la chiusura, la dismissione degli impianti e la perdita del lavoro per i pescatori che se occupano. Per questo chiediamo un finanziamento specifico da parte delle Istituzioni Culturali affinché ne garantiscano la tutela e la sopravvivenza» dichiara Simone Gambazza. Ma cosa c'entra la pesca con la cultura? E la tonnara con la Liguria? A ben guardare, molto.
Le tonnare ancora attive in Italia si contano sulla punta delle dita e sono tutte legate alla nostra regione. In Sardegna portano il nome di una famiglia genovese, i Greco. E il tonno gode di alta considerazione: c'è un Museo della Tonnara (a Stintino) e una kermesse annuale, Il Girotonno, che coniuga con successo tradizione e gastronomia.
In Sicilia, l'unica tonnara attiva è a Favignana, che nella sua storia conserva i nomi dei Pallavicino e dei Parodi. Ma forse il caso siciliano non fa testo. Là sono convinti che questa pesca sia parte del patrimonio culturale. Restaurano l'antico stabilimento della tonnara e le attrezzature. Progettano musei e servizi, iscrivono il Rais -il capo della tonnara- nel Libro dei Tesori Umani Viventi.
E in Liguria? Appurato il profondo legame con la tonnara e l’interesse che suscita in altre regioni, un intervento non pare affatto fuori luogo. Certo, si può obiettare che senza tonno non ha senso aiutare una tonnara, aggiungendo che quella di Camogli è una «tonnarella». Ovvero è più piccola per struttura e non compie la canonica mattanza. Non si arpionano i pesci cantando antichi inni ma si levano le reti in silenzio. È diversa dalle altre e forse, proprio per questa sua unicità, è ancora più preziosa. Non può neanche sfruttare la licenza per il pesca turismo perché le barche di Camogli sono piccole, dieci metri al massimo. Possono portare uno o due turisti a vedere la pesca e con questi numeri non si risollevano le sorti di nessuna tradizione.


Il valore storico culturale della tonnara di Camogli è innegabile, come l’impegno di chi conserva questa tradizione fisicamente, compiendo gli stessi gesti dei suoi predecessori e tramandandone i segreti. Se non è cultura questa.

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