Antonio Lodetti
da Milano
«Bisognava essere pazzi per suonare il jazz a Bruxelles sotto loccupazione nazista, ma io non ho potuto farne a meno dopo essere rimasto folgorato dai dischi di Louis Armstrong che ascoltavo nel 42 su un gracchiante grammofono a cinghia». Dal Belgio, allestrema periferia dellimpero, Toots Thielemans - re dellarmonica cromatica - passati di slancio gli 80 anni apre il suo splendido libro dei ricordi. Ricordi che uniscono un glorioso passato a un brillante presente, che lo vedrà impegnato da domani a sabato - per due spettacoli a sera - al Blue Note di Milano. Un uomo coraggioso Thielemans che, nello scetticismo generale, ha strappato larmonica alla brutalità del blues proiettandola con eleganza nel mondo del jazz ancora tutto da scoprire. Il suo primo ingaggio importante fu con il re dello swing Benny Goodman («Ha fatto ballare tutto il mondo e tutte le ragazze impazzivano per lui. Quando suonava ho visto scene disterismo che i Beatles e Sinatra se le sognano»), e poi via via con tutti i grandi, da Armstrong («Abbiamo suonato insieme parecchio ma lunica vera incisione è stata uno spot pubblicitario della Chrysler») a Dizzy Gillespie («mi ha valorizzato come chitarrista») passando per Charlie Parker, laltro suo vero idolo. «Cercavamo il nuovo Messia e lo trovammo in Charlie Parker. Era un angelo e un diavolo al tempo stesso, un John Wayne del sax che sparava solo emozioni. Lo incontrai nel 49 e due anni dopo fui ospite nei suoi Jazz Allstars insieme a Dinah Washington. Unesperienza memorabile».
Nel suo curriculum di jazzista raffinato, che scava i suoni in quel piccolo spazio segreto che sta tra un sorriso e una lacrima, Thielemans ha collaborato anche con artisti del calibro di Mina («Non fosse stata in Italia sarebbe una stella del jazz internazionale»), Stevie Wonder, («da lui ho imparato i segreti della musica moderna»), Paul Simon, Billy Joel perché «amo la buona musica e non mimporta se qualcuno dice che mi prostituisco»). Con lItalia ha un legame speciale. «Ricordo concerti fantastici con Armando Trovajoli nel 49; dicevano che era un melodico ma suonava lo swing come pochi, e poi mangiate favolose a casa del batterista Gil Cuppini». Un brutto infarto alle spalle, uninfanzia cagionevole che pareva negargli un futuro da sportivo e da artista («Avevo lasma, così non potevo giocare a calcio né suonare larmonica perché mi mancava il respiro») non gli hanno impedito di diventare un gigante del jazz che vive «in quel Nirvana dove le tinte sono pastello, il blues oscilla tra il modo minore e quello maggiore, la musica è a cavallo tra Debussy e Miles Davis».
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