Barbara ha trentotto anni, fa la commessa, ha la terza di reggiseno. E ritiene che dei suoi diritti di cittadina faccia parte anche quello al topless metropolitano. Perché non tutti possono andare ad abbronzarsi le tette in Costa Smeralda. Quindi si è andata a sdraiare a torso nudo in un giardino pubblico di Milano, in una torrida mattina di luglio, convinta di non fare assolutamente nulla di male o di scandaloso. E si è scontrata, nellordine: con lindignazione di alcuni passanti; con la solerzia di una pattuglia della polizia locale; con la severità della Procura della Repubblica. Infine, laltro ieri mattina, con linflessibilità del giudice di pace Elisabetta Zapparoli, che lha condannata per atti contrari alla pubblica decenza. Niente carcere: duecentocinquanta euro di ammenda. Ma dallaltro ieri Barbara è ufficialmente una pregiudicata per il «reato di topless».
«La Cassazione - protesta il suo avvocato Marco De Giorgio - ha sempre detto che il concetto di pubblica decenza, come tutti quelli legati al comune sentire, è un reato dinamico, che sposta la sua soglia insieme con lo spirito dei tempi. Quindi, ciò che era indecente cinquantanni fa non lo è più oggi, e ciò che lo è per una cultura non lo è per unaltra». Difficile dargli torto. Ma chi stabilisce dove si pone lasticella? Chi decide, nella Milano del terzo millennio, se la vista di un petto di donna disteso sullerba è uno spettacolo indecente? Come spesso accade, a rispondere è la magistratura. E dice che no, non si può mostrare le proprie grazie materne tra le aiuole di un giardino pubblico.
Eppure Milano, anche da questo punto di vista, è sempre stata una città laica. Labbronzatura senza reggiseno è sdoganata da decenni sulle rive dellIdroscalo e nelle piscine comunali. Il primo nudo sul palcoscenico della Scala è vecchio di venticinque anni, lEugenj Onegin del 1986. E così si può forse immaginare come e perché Barbara si sia slacciata il reggiseno senza troppe preoccupazioni, e senza la convinzione di commettere un reato.
Tutto accade nei giardini di largo Marinai dItalia, in corso XXII Marzo, a mezzogiorno del 20 luglio 2009. É un lunedì mattina, i negozi sono chiusi, la città ha già iniziato a svuotarsi. Barbara va a prendere il sole ai giardini pubblici, portandosi un asciugamano e un libro. Sceglie un prato lontano dalla zona bimbi. Prima si mette in bikini. Poi si slaccia il reggiseno, ed è linizio dei suoi guai. Alcuni passanti telefonano ai vigili urbani, che intervengono prontamente. La fanno ricoprire e la denunciano alla Procura.
«É una sentenza scandalosa e profondamente ingiusta - dice lavvocato De Giorgio - contro la quale ricorreremo sicuramente in Cassazione. La mia assistita non stava esibendosi in alcun modo, si limitava a prendere il sole sdraiata, come avviene normalmente nelle piscine milanesi e nei giardini pubblici di tutte le grandi città europee, basti pensare a Berlino o a Copenaghen».
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