Torino e le Olimpiadi dell’acquolina

Torino e le Olimpiadi dell’acquolina

Roberta Corradin

L'importante è partecipare, e gli chef piemontesi danno prova di avere recepito il precetto olimpico. Tanto che a P Food & Wine, lo spazio voluto dalla Regione Piemonte per mettere sul podio la gastronomia regionale in piazza Castello ribattezzata Medals Plaza, i «top chef» piemontesi si presentano in una squadra compatta di ventitré. Che, per chi non avesse nella matematica la sorgente delle proprie delizie, è un numero primo, vale a dire che se vuoi scomporlo in numeri interi, lui refrattario resiste e non si divide, tranne che per uno e per se stesso.
Svelato il coté matematico del «tutti per uno, uno per tutti», non resta che esprimere pubblico encomio alla squadra, i cui atleti si sono sottoposti a un training con docenti di comunicazione, scenografia e gestione di eventi - il che, pur concentrato in otto giornate, è un bell'impegno per chi deve badare ai conti di cassa e controllare la cottura del vitello tonnato. I top 23, fra i quali 4 donne, hanno lavorato in squadra per creare un menu che testimoniasse l'identità gastronomica del territorio. Ciascuno ha portato il proprio contributo, ma i piatti recano la firma del gruppo: una specie di Luther Blisset della cucina. Hanno un'allure londinese i locali del Palazzo della Regione trasformati dall'architetto Simone Micheli in wine bar al piano terreno e in ristorante al piano superiore, mentre alle cucine è toccato il seminterrato (eh, sì, poveri chef: si contano sulle dita di una mano e mezza le cucine panoramiche, a questo mondo).
Ora, se è vero che l'importante è partecipare, prenotare è più che importante: è necessario. A Torino e dintorni, più che mai fra Sauze e Sestriere, si registra un tutto esaurito scoraggiante. P Food & Wine non è da meno. Inaugurato il 1° febbraio, fino al 26 febbraio ospita ogni sera una cena-evento architettata da una squadra di tre chef, sempre prelevati dai ventitré di cui sopra; il primo servizio è riservato ai vip che poi assistono alle premiazioni in tribuna, ma il secondo è prenotabile anche da noi mortali, purché congruamente danarosi. Nelle altre sere, il ristorante serve due menu degustazione da tre e da cinque portate (45 e 75 , bevande escluse). Nel menu degustazione spiccano il risotto mantecato con crema di zucca, toma di Lanzo e porri; l'insalata di coniglio alle olive di Taggia con bagna dolce brusca di peperoni; il semifreddo allo zenzero con couscous di frutta secca e lime.
Provato nella vera prima serata operativa dopo l'inaugurazione, il menu era ben congeniato ed eseguito, e soddisfaceva la contrainte di una sala che deve comunicare con una cucina due piani più sotto. Finite le serate-evento, dal 16 febbraio al 31 marzo si torna ai due menu degustazione serviti a pranzo e a cena, 7 giorni su 7 («come McDonald's», ironizza Carlo Sacco, che potrebbe tenere dei corsi sull'arte di lavorare in sala).
Se poi le angustie del budget impongono di non salire le scale e restare al wine bar, consolatevi: con una spesa sui 10 euro vi potete concedere una «tapas» piemontese come il coniglio con prugne e nocciole Piemonte in insalata di pere agrodolce, servita in un grazioso box alla Guido Gobino (omaggio a uno dei grandi cioccolatieri di Torino?) e accompagnata da un vino dello sponsor olimpico Fontanafredda; oppure potete sperimentare la varietà dei caffè torinesi (dal bicerin al marocchino passando per il caffè alla crema di nocciole e cannella) e un box di dolcetti come i turcèt e le paste di meliga. Sottolineano dalla Regione che, essendo P Food & Wine la vetrina di un «paniere» di prodotti regionali, acquistabili anche come souvenir, non verranno servite bibite gasate in lattina ma spremute di agrumi nonché un filologico frullato di antiche mele della provincia di Torino, roba da presidio Slow Food.
La cosa confortante è vedere lo sforzo di un ente pubblico determinato a valorizzare le risorse locali: nei dintorni di Medals Plaza, coerentemente, si esibiscono gruppi musicali torinesi. Quello che invece dispiace - perché sarà il clima olimpico, ma il mio mezzo cuore occitano da qualche settimana batte più forte - è che nessuno parli di cucina occitana. Quindi faccio un golpe e racconto io una ricetta di Jouvenceaux, che scritto così sembra ostrogoto ma se dico Piero Gros si capisce.
La torta di barbabietole, in patois occitano «torta-d-carotta ruja» (torta di carote rosse), è una delizia invernale della mia infanzia. Si prepara un abbondante soffritto di molto sedano e poca cipolla (nel burro! Non per vizio ma per filologia). Al soffritto si uniscono patate lesse e barbabietole cotte al forno, entrambe passate al passaverdure, in proporzione cromaticamente variabile da un rosa pallido a un vinaccia sanguigno. Se è il caso, si ammorbidisce il ripieno con crema di latte. Si sala, si insaporisce con noce moscata e si tiene da parte. Si stende in una teglia la pasta da pane, si spalma la farcia, si chiude la torta con un altro strato di pasta da pane, bucherellata con la forchetta per far uscire il vapore. Si cuoce preferibilmente in forno a legna, ma 190-180° del forno elettrico faranno un buon lavoro in una quarantina di minuti.
Come tutte le ricette occitane tramandate oralmente (la soupe grasse di pane, brodo e formaggi; le caillette, gnocchi al cucchiaio di patate, uova, cipolla e sedano; il ragou batard, spezzatino di sole verdure; i gofri, cialde di farina di segale condite con lardo), la torta-d-carotta-ruja conosce tante versioni quante sono le casalinghe che ancora la fanno.

Il mio sogno è che almeno uno per tutti fra i top 23 colga il messaggio e rielabori una sua versione della torta occitana della mia mamma.
P Food&wine è in piazza Castello 165 a Torino, 011.4323531, www.piemontefeel.it, pfoodwine@regione.piemonte.it.

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