Torino incorona il bollito misto

Roberta Corradin

Meno male che resta la soddisfazione della buona tavola, in questa Torino surreale che più che pre-olimpica sembra post-bellica (scale di accesso incompiute che dovrebbero portare a fermate della metropolitana coerentemente inattive, corso Vittorio un grande scavo, la stazione di Porta Susa ridotta a tre binari e quella di Porta Nuova in disarmo, parcheggi su cui fioccano scommesse, saranno finiti in tempo oppure no?, eccetera...).
Le Olimpiadi stanno a Torino come a Roma il Giubileo: gli abitanti dovrebbero guadagnare l’indulgenza per il solo fatto di essere stati lì durante i lavori di preparazione. Vivere in una città-cantiere potrebbe lessare i cosiddetti a chiunque, ma i torinesi mostrano tempra e se proprio c’è da coniugare il verbo lessare, loro scelgono il ruolo di soggetto attivo, e l’oggetto diventa il bollito misto piemontese, che col suo corteo di salse e bagnet sfila sulle tavole di quindici ristoranti di Torino e cintura nei Giovedì del Bollito Mondiale.
Inaugurati il 19 gennaio, i giovedì del Bollito vogliono essere la risposta piemontese al megasponsor McDonald’s: non di solo fast food vive lo spettatore dei giochi olimpici, ma anche della sublime lentezza del tradizionale lesso piemontese. Il 26 gennaio, e poi per tutti i giovedì di febbraio (2,9,16,23), il bollito viene celebrato con tutti i sacri crismi (sette diversi tagli di carne, sette verdure, sette salse), e soprattutto con l’ingrediente principe, la razza piemontese (si parla di bovini) che costituisce il vanto e l’orgoglio del Coalvi, il Consorzio di Tutela della Razza Piemontese, www.coalvi.it, che ha nel logo una mucca incoronata così nessuno pensa a discriminazioni etniche che con la stupidità imperante non si sa mai.
Intanto, alla giornata inaugurale, presentata al Cambio, storico locale in piazza Carignano, sono emersi alcuni dati che danno ottimismo: l’età media degli allevatori del Coalvi è 43 anni, l’allevamento medio conta 30 capi. Si tratta quindi di giovani allevatori, e di allevamenti a conduzione familiare, con possibilità di controllare qualità e quantità dell’alimentazione. Il tutto sembra assecondare l’assunto di Carlo Petrini, secondo cui mangiare dev’essere un atto agricolo, e coltivare (e allevare) un atto gastronomico.
Ora, se un giovedì di febbraio a Torino uno scopre che il bollito è buono, che non è una cosa da vecchietti né da mensa del reparto di gastro-enterologia ma un gioco aperto alla sperimentazione individuale (quale salsa con quale taglio di carne? Fatevi la vostra hit personale), e che ben si accompagna a un rosso importante (al Cambio si è distinto un Nebbiolo 2003 Pelissero), e vuole replicare il gioco a casa, che fare?
Più che saper scegliere la carne, tocca saper scegliere il macellaio, ironizza Gianpiero Riassetto, fornitore del bollito inaugurale insieme a Silvano Pistis di Torino e Flavio Targa di Grugliasco. Siamo andati a trovare Riassetto nel negozio di via Morosini, dove comincia il quartiere Crocetta.
Per prima cosa, il bollito, anche se si presta a un tête-à-tête giocoso, non si prepara per due: ci vuole varietà e bisogna calcolare le dosi per almeno sette-otto persone. I fatidici sette tagli di carne sono: coda (che Gianpiero sega lasciando unite le fette per un’estremità, il che garantisce bellezza alla presentazione); lingua (che va scelta bella soda); testina (che dev’essere di un bel colore bianco); brutto e buono che si chiama così perché una volta disossato assume un aspetto frastagliato e che può essere sostituito con un pezzo di muscolo; scaramella (alias costine); cotechino, gallina (guardate la pelle sotto le ali: dev’essere asciutta).
Si calcolano come minimo tre etti di carne a testa: ma è meglio avanzarne per un’insalata di lesso l’indomani, quindi siate generosi nella spesa. Testina e lingua hanno tempi lunghi, e vanno cotte insieme a parte, immerse in acqua bollente con mazzetto odoroso (alloro, salvia, rosmarino, carota, sedano, cipolla steccata con chiodi di garofano). La lingua si può tagliare a fette prima della cottura, sempre con l’avvertenza di lasciare le fette unite per l’estremità, per la presentazione. Anche la coda cuoce a lungo; quanto agli altri tagli, se proprio si vuole fare un errore, è meglio che sia per difetto, quindi tirateli su per tempo. Come valutare che la carne è cotta? Fidandosi di naso e palato: quando comincia a profumare e vi sembra cotta, è cotta. Fine.
Sulle verdure da lessare, a parte l’obbligo della patata e della carota, vige una certa libertà. Ispiratevi all’inverno: cavolo, cavolfiore, broccolo, cipolla, sedano, finocchio. L’ideale è lessarli separatamente e poi tenerli in caldo, in modo da essere certi di avere ogni verdura al dente e non disfatta in un puré comunitario. Sulle salse, pigri e sprovvisti di tempo libero troveranno di tutto in barattolo. Fondamentali il bagnetto rosso e quello verde, di cui diamo la ricetta presa dalla Bibbia della cucina di Langa, il ricettario di Nonna Genia, che l’editore Araba Fenice di Boves, 0171.389814, pubblica ora anche in tedesco e in inglese: tritate una manciata di prezzemolo pulito con 1 spicchio di aglio, 2 tuorli sodi, 2 acciughe, 10 capperi dissalati e la mollica di 1 panino imbevuta di aceto e strizzata. Unite olio a filo sino a ottenere un bagnet consistente che si conserva per giorni. Se poi preparare il bollito vi sembra superiore alle vostre forze, ma volete portarvi a casa un souvenir, Gianpiero Riassetto ha anche il bollito pronto sottovuoto, in porzioni singole, da riscaldare in acqua bollente. «E quando aprite la busta, si sprigiona il profumo come se l’aveste appena cotto voi».

Piccoli segreti di cui gli ospiti non devono per forza venire a conoscenza.

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