Il tormento del custode che ripeteva: «Ragazzi tranquilli, il palazzo è sicuro»

«Cosa vuole che dica, l’edificio per noi era sicuro, ce lo avevano confermato». A Giancarlo resta appena un filo di voce, troppa poca per fare i conti col peso che lo tormenta dalla notte di domenica, la notte in cui ha visto il palazzo in cui lavorava accasciarsi di lato, facendo sparire in un buco nero i suoi inquilini.
Quell’edificio era la Casa dello studente dell’Aquila, gli inquilini universitari di vent’anni o poco più e Giancarlo, lui, è il custode dell’edificio. È una delle persone a cui i ragazzi, nei giorni prima del terremoto, confidavano le proprie preoccupazioni per i fremiti di quelle pareti, per le crepe che in parecchi avevano segnalato. «Io lo so che i custodi sono brave persone, a Giancarlo voglio bene - dice Carmela, studentessa che ha vissuto per quattro anni alla Casa dello studente -, ma sono arrabbiata perché in tanti ripetevamo che c’erano crepe in diverse stanze e tutti insistevano che l’edificio era sicuro, che non c’erano rischi». Lei si è salvata proprio perché non si è fidata, e dopo l’ultimo forte scossone dello sciame sismico che perseguitava L’Aquila da ottobre, è scappata via. «Nella camera del mio ragazzo, la 211 - racconta Roberta, una studentessa di Psicologia -, si era aperta una crepa che andava dal pavimento al soffitto e c’erano crepe anche nella mia stanza. L’abbiamo detto ai custodi, è venuto anche l’architetto a controllare. Ci dicevano sempre che era tutto a posto. Che erano solo scosse di assestamento e che non c’era pericolo. Invece c’era, eccome. Raccontatelo per favore, raccontatelo per quei ragazzi che non hanno avuto la mia fortuna. A me è venuta l’influenza e sono tornata a casa sabato. Domenica notte anche la mia camera è crollata con le altre».
Giancarlo è distrutto: «Sì, i ragazzi avevano paura, come tutti a L’Aquila, ma eravamo stati rassicurati sul fatto che l'edificio non aveva problemi strutturali». Ma chi era così sicuro? «Non so, il Comune, la Protezione civile, non lo so... Ma io non posso dare informazioni, non posso dire nulla - un groppo gli ricaccia indietro le parole - quei ragazzi erano tutti amici per me».
Ieri dalla Casa dello studente hanno estratto il corpo di un altro studente ucciso dal crollo: Luca Lunari, un ragazzo di 20 anni la cui vita andava veloce, a casa aveva una figlia piccola. Ci vorrà tempo per sapere perché il palazzo di via XX Settembre che sembrava sicuro a tutti è venuto giù. Sicuramente sarà tra i casi su cui la Procura dell’Aquila, che ha avviato un’inchiesta per disastro colposo, vorrà fare luce. Ma è una strada in salita. «Le carte dell’edificio sono rimaste sotto le macerie - spiega Luca D’Innocenzo, presidente dell’Azienda per il diritto allo studio dell'Università -, noi gestivamo la struttura, ma la proprietà era della Regione. A chi mi ha chiesto gli incartamenti ho detto di rivolgersi a loro». La Regione respinge al mittente: «No, il palazzo è dell’Adsu». E in questo palleggio di responsabilità, nessuno si è deciso a fare un controllo serio a quella struttura apparentemente solida, ma che intanto aveva subito l’impatto di centinaia di scosse. L’unica visita l’ha fatta Pietro Sebastiani, capo dell’ufficio tecnico interno, che si occupa della manutenzione spicciola dell’edificio: «Ma io di queste cose non ne capisco niente, mi sono limitato a fare un giro e mi è sembrato tutto a posto».
In realtà pare proprio che l’edificio fosse della Regione. Costruito nel ’65 per la farmaceutica Angelini e passato attraverso varie destinazioni d’uso, sarebbe poi finito all’Opera universitaria e infine alla Regione. Ospita studenti dunque già dagli anni ’70. «Per quanto ne so non aveva alcun problema strutturale e tutte le segnalazioni degli studenti venivano verificate - commenta D’Innocenzo, che davanti a quelle rovine è rimasto per 80 ore di fila -, se poi volete sapere se c’è uno scandalo, io non lo so. Se c’è, riguarda tanti palazzi moderni ridotti a macerie. Forse bisogna guardare al terreno su cui sorge, in via XX Settembre: è un caso che sia la più colpita di tutta la città».
Domande che la città intera si pone e che riguardano ancora di più l’ospedale civile, inaugurato 9 anni fa e oggi inagibile al 90 per cento.

In quel caso lo scandalo era nero su bianco già prima del terremoto: faceva parte della relazione parlamentare sulle «opere incompiute» costate cinque, sei, dieci volte più del necessario. Forse ora quel libro potrà arricchirsi di altre pagine.

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