Torna la censura sulla guerra Blackout sui soldati a Kabul

Dopo il cambio alla Difesa cappa di silenzio sul fronte afghano. Eppure i nostri combattono più che mai: 140 attacchi in due mesi

Torna la censura sulla guerra  Blackout sui soldati a Kabul

Con il nuovo governo riaffiora la vecchia «censura» sulla nostra guerra in Afghanistan? Speriamo di no, ma c’è stato qualche inciampo della prima ora sulle attività operative italiane nel Paese al crocevia dell’Asia. Anche i bollettini ufficiali della Difesa inviati a cadenza fissa ai giornalisti sono zeppi di notizie banali o alla camomilla. Sembra che l'iniziale blackout del nuovo governo tecnico sia dovuto a beghe fra generali, a tal punto che da Roma non era stato reso noto l'enorme mole di operazioni dei 4200 uomini schierati in Afghanistan.

Non solo: gli italiani negli ultimi due mesi hanno registrato 140 attacchi, 59 trappole esplosive saltate in aria ed una cinquantina scoperte in tempo. Grazie a noi le forze afghane, nelle operazioni congiunte, hanno arrestato un centinaio di insorti, compresi comandanti di medio livello ricercati dalla Nato. Per non parlare del sequestro di armi ed esplosivi di cui non si è parlato. Il nuovo esecutivo tecnico dovrebbe avere ancora meno «paura» politica della missione afghana, ma in ogni caso sarà costretto a fare i conti con un'impennata delle attività operative e dell'insorgenza talebana.

«Non far conoscere il lavoro dei nostri militari sarebbe un suicidio - spiega a Il Giornale l'ex sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto - Non penso che il nuovo ministro, l'ammiraglio Di Paola, voglia cambiare questo approccio. Il governo tecnico ha già stanziato i fondi per le missioni all'estero senza colpo ferire, mentre per noi politici non era così facile».

In realtà fra i militari sul campo serpeggiava il malumore anche negli ultimi mesi del precedente esecutivo, che dopo aver «sdoganato» la difficile missione afghana si era un po' richiuso.
Con il passaggio di consegne la cappa di silenzio è inizialmente aumentata, mentre gli italiani combattono più che mai. Negli ultimi due mesi ci sono stati 140 attacchi al contingente sia con armi leggere sui convogli, che con lancio di mortai e razzi sulla basi. Ben 59 trappole esplosive (Ied) sono saltate in aria provocando, per fortuna, solo un manciata di feriti.

L'ultimo è un marinaio del Reggimento San Marco nella famigerata valle del Gulistan, il fronte più a sud. Altri 50 Ied sono stati scoperti e disattivati.
Solo nelle «operazioni autunnali»le 4 task force italiane, al comando del generale Luciano Portolano, su un'area grande come il Nord Italia, hanno scoperto 9 arsenali. I militari sono riusciti a sequestrare mitragliatrici da 14,7mm, mortai da 82mm, razzi, mine antiuomo, bombe da mortaio, fucili AK 47, i famosi Kalashnikov, bombe a mano, munizionamento antiaereo, ma pure motori di volo per aumentare la gittata dei razzi che colpiscono le basi e quantitativi di oppio. Parte degli arsenali nascondevano proiettili di artiglieria, nitrato di ammonio e polvere di alluminio, rotoli di miccia detonante, esplosivo, telefoni cellulari, che servono per i micidiali Ied e pure una decina di giubbotti minati per terroristi suicidi. Gran parte dei ritrovamenti sono avvenuti nell'area di operazioni della task force sud composta dal 152° reggimento dei Dimonios della brigata Sassari. Soldati e poliziotti afghani, al fianco degli italiani, hanno arrestato un centinaio di insorti, compresi alcuni comandanti ricercati. In parallelo i militari italiani hanno portato a termine 87 progetti umanitari ad «impatto immediato» a sostegno della popolazione.

Difficile ed assurdo provare a nascondere questa mole di attività. Dallo stato maggiore della Difesa giurano che non si tornerà al passato, quando il governo Prodi censurava il conflitto per motivi politici. Per dimostrarlo il 19 dicembre verrà organizzato un media tour in Afghanistan. Però non basta passare Natale e Capodanno con i soldati italiani, ma bisogna raccontare fino in fondo cosa fanno, comprese le missioni combat, altrimenti resterà sempre una mezza verità.

L'ex sottosegretario Crosetto incolpa anche i media: «Avevo scritto al presidente Berlusconi, che

ne ha preso atto, denunciando l'inaccettabile silenzio del servizio pubblico (Rai). Ci accorgiamo delle missioni internazionali solo quando ci scappa il morto, poi tutto cade nel dimenticatoio».
www.faustobiloslavo.eu

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