Torna Moussavi «Non mi arrendo»

Ha rotto il silenzio al quale le autorità iraniane lo costringono dal 12 giugno, data del voto che lo avrebbe visto trionfare contro il presidente uscente, Mahmud Ahmadinejad. Mir Hossein Moussavi è tornato a parlare. Un breve messaggio lanciato attraverso Facebook, a metà tra la denuncia e la dichiarazione d’intenti, indirizzato agi iraniani residenti all’estero. «Contrariamente a quanto previsto dalla Costituzione, tutte le mie comunicazioni sono state interrotte, e le obiezioni pacifiche avanzate dalla gente schiacciate». Il candidato sconfitto dai brogli del regime, però, ha proseguito rincuorando i suoi sostenitori: «Vi assicuro che manterrò il mio patto con voi usando tutte le vie legali perché siano rispettati i vostri diritti violati nell’urna elettorale». E attaccando i media locali, accusati di essere «il megafono di chi ruba il voto della gente». Essendo il punto di riferimento per milioni di cittadini stanchi del regime, è costretto a vivere da clandestino. Dopo essere apparso per dichiarare la sua vittoria , confermatagli da fonti del ministero dell’Interno di Teheran, è sparito dalla scena. Poche apparizioni durante i cortei, tutte tenute segrete fino all’ultimo, come i suoi movimenti del resto. La redazione del suo giornale è stata sbattuta in galera, il suo staff decimato dagli arresti. Eppure Moussavi è ancora «libero». Tanto che qualcuno a Teheran ha cominciato a chiedersi se non ci sia un network più solido di una semplice rete di simpatizzanti a proteggere il leader. Una struttura organizzata e finanziata da qualche eminenza grigia.

Il nome più ricorrente, a tal proposito, è quello del potentissimo e ricchissimo Abkar Ashemi Rafsanjani, a capo dell’unico organo, il Consiglio del discernimento, che potrebbe deporre la Guida suprema, Ali Khamenei, neutralizzando così anche Ahmadinejad.

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