Tornano gli erasmiani strani liberali senza se e senza ma

Ralf Dahrendorf rilancia i maestri del pensiero politico che ricercano la «virtù» alla maniera dei rinascimentali. E Paul Berman elogia i sessantottini che hanno fatto carriera

Esistono gli «erasmiani»? E, in caso affermativo, chi sono? Secondo Ralf Dahrendorf sono coloro che hanno lavorato per costruire una teoria della libertà e, nel contempo, per recuperare il concetto rinascimentale di «virtù», ponendosi come osservatori partecipi del proprio tempo, ma senza asservirsi ad alcuno. In altre parole, sono coloro che, pur essendo nati nel primo decennio del Ventesimo secolo, esposti a molteplici possibilità di compromissione - dalla Prima guerra mondiale fino alla svolta del 1989 - hanno saputo resistere alle lusinghe e alle tentazioni del totalitarismo, sia esso di destra, sia esso di sinistra.
Nell’ultimo suo libro (Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo, Laterza, pagg. IX-244, euro 15, traduzione di M. Sampaolo) Dahrendorf ripercorre la vicenda intellettuale, e personale, di figure come Karl Popper, Raymond Aron e Isaiah Berlin, i componenti dalla sua personale societas Erasmiana. Popper come epistemologo e paladino della «società aperta», Aron quale magistrale studioso di cose politiche, con la capacità di coniugare il meglio della tradizione realista e della sensibilità liberale, Berlin come il maggior teorico della libertà nel XX secolo. Ma il libro dedica spazio anche ad Hannah Arendt, straordinaria nella sua capacità di sfuggire ad ogni etichetta proprio studiando i totalitarismi, e a Norberto Bobbio, generoso nel suo tentativo di continuare la tradizione liberal-socialista senza nulla concedere agli errori del marxismo.
Gli erasmiani di Dahrendorf non sono ingenui e non credono nella possibilità che il paradiso precipiti sulla terra; sanno di quante buone intenzioni siano lastricate le vie dell’inferno; ma, nonostante la consapevolezza che l’uomo sia un «legno storto», come diceva Kant, lo considerano perfettibile anche se solo in termini «asintotici», cioè senza mai raggiungere pienamente la meta. In una parola sono liberali, con quel mix di pessimismo e di ottimismo che è loro caratteristico, pessimismo verso il potere ed ottimismo nei confronti dell’uomo, pessimismo della ragione e ottimismo della volontà.
Sempre in queste settimane esce un altro libro dedicato agli intellettuali del nostro tempo, Idealisti e potere. La sinistra europea e l’eredità del Sessantotto (Baldini Castoldi Dalai, pagg. 329, euro 18,50), di Paul Berman, newyorkese direttore della rivista progressista Dissent. Il volume è dedicato ai campioni della contestazione di fine anni Sessanta, i vari Joschka Fischer, Daniel Cohn-Bendit, Bernard Kouchner (fondatore di Médecins sans frontières). La tesi dell’autore è che in quegli anni prese forma un nuovo tipo di pensiero liberale e antitotalitario, un nuovo umanesimo il cui frutto maturo ha portato, anni dopo, a sostenere, anche da posizioni di sinistra, taluni interventi militari come quello della Nato nei Balcani (a questo proposito Berman, nella Prefazione all’edizione italiana, parla con ammirazione di Adriano Sofri). Ma sarà tutto così semplice e lineare? È sempre facile essere benevoli nei confronti del Sessantotto, ma forse è diventato anche banale e noioso.
È evidente che i contestatori di allora sono oggi la classe dirigente delle nostre società, saldamente attestata in posizioni di potere, soprattutto nella sfera dei media e, spesso, della politica tout court. Ed il loro esercizio del potere non è certo esente dai «difetti» contro i quali si scagliavano allora, anzi! Con il senno di poi è facile convenire con quanto scriveva Gianfranco Miglio nel 1969 a proposito del movimento studentesco: «I giovani più consapevoli di esser destinati nella vita ad un ruolo dominante - per estrazione sociale o per dotazione naturale - che un tempo trovavano nell’Università la riservata palestra ed insieme il contrassegno del proprio privilegio, (...

) reagiscono al fantasma di un comune destino di “integrazione” anticipando la propria posizione egemonica ed assumendo, prima di tutto entro e nei confronti della restante popolazione scolastica, la fisionomia di una vera e propria “classe politica” in miniatura». Sono anch’essi «erasmiani»? Forse no...
davideg.bianchi@libero.it

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