«Torno per il mondiale poi lascio la nazionale»

«Spalletti più genuino di Capello». D’Alema arriva alla Camera con la sciarpa giallorossa

Fabrizio Aspri

da Roma

Un risveglio da brividi dopo una notte da record. Sulle sponde giallorosse del Tevere è festa grande. Si brinda e si sogna sulle note di Seven Nation Army dei White Stripes, «motivetto» che la curva Sud ha adottato in onore delle 11 vittorie di fila. Euforia che contagia la città. Il senatore Andreotti, romanista doc, si gode il momento magico e mostra qualche rimpianto. «E pensare che se fossero partiti prima...! Si è tornati un po’ ai vecchi tempi della Roma testaccina».
Massimo D'Alema, presidente dei Ds, presentatosi alla Camera con la sciarpa della squadra del cuore, ha esaltato le imprese della «Magica» e, giunto alla buvette, ha parlato di record e gol con gli addetti alla ristorazione, tutti rigorosamente romanisti.
Questo per render chiaro un concetto: la Roma targata Spalletti è entrata di diritto nella storia del calcio. Il day-after è all’insegna degli sfottò. Le radio si contendono i protagonisti, gli ascoltatori intasano le linee telefoniche e i tifosi progettano per domani un altro bagno di folla: ancora a Trigoria e sempre sotto gli occhi di Totti e della sua amabile combriccola. Basta riavvolgere il nastro della memoria e rivivere la stracittadina, per capire quanto il capitano sia fondamentale per il gruppo. L’esultanza dopo i gol dei compagni, gli abbracci, la dedica di Mancini («Sei il sindaco di Roma»), le lacrime di Sensi.
Fotogrammi di una serata da incorniciare. «Siamo una squadra di fratelli», ricorda Totti. È questo uno dei tanti segreti della Roma. Il «Talento», intervenendo ieri in varie emittenti, ha provato a spiegare il «fenomeno Roma». Alla sua maniera. «È la prima volta che mi sento, a tutti gli effetti, il capitano di questa squadra: prima c’era molta più invidia da parte di alcuni giocatori». Messaggio in codice ma destinatario fin troppo noto: Cassano. «Il gruppo sa cosa rappresento per questa città e mi segue con stima e amore. Con rispetto. Prima della gara, rivolgendomi ai ragazzi, ho detto: questo derby si può e si deve vincere». Parole che hanno lasciato il segno. «È bastato che mi vedessero in panchina per correre ad abbracciarmi: è stato il gesto più bello». La Roma elisir di felicità. «Sono riuscito a vincere una gara da bordo campo – sorride - e ora la storia siamo noi. Grazie alla Lazio. Che goduria aver vinto. Avete visto l’esultanza di Spalletti? Grande e un po’ matto: stratosferico in campo e genuino fuori. Capello non aveva questo rapporto con i giocatori».
«Raspare» e puntare in alto, senza perder di vista la realtà. Questo il credo del tecnico di Certaldo. Totti sottoscrive. «Vogliamo il quarto posto e arriveremo in fondo. Non ho mai vissuto un momento così felice. Neanche nell’anno dello scudetto il gruppo era così compatto. Voglio vincere con la Roma: mi prendessero pure per matto! Sento dire che i campioni scappano da Trigoria perché io avrei paura della concorrenza. Falso: non conosco l’invidia». Un passo alla volta e occhi puntati sul calendario. Domenica c’è l’Inter e scatta l’operazione «amuleto». «Andrò ancora in panchina. Ma tra due mesi e mezzo tornerò per le due finali e il mondiale: la mia ultima competizione azzurra». Un’agenda zeppa di appuntamenti. Oggi, però, spazio alla famiglia. Sarà in prima fila all’Ariston, per godersi la sua Ilary in versione Sanremo.

«Se mi faranno cantare lo farò – ironizza - basta che mi facciano rivedere il mio piccolo Cristian. È biondo, con gli occhi azzurri. Non mi dispiacerebbe se battesse il record delle undici vittorie». Anche questo è Totti: campione con cuore da papà.

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