Torno al Nord, fare il sindaco al Sud è impossibile

di Vittorio Sgarbi

Addio Sicilia. Con rabbia e amarezza. Non scappo. Entro in trincea. La rivoluzione è cominciata. E sarà nel nome di Caravaggio, di Rubens, di Guercino, di Modigliani, di Cezanne, di Picasso. E di chi ne capisce la forza eversiva, non di chi cerca di rianimare i fossili della mafia coltivando una sottocultura. Dell'ignoranza.
È impossibile fare il sindaco in Sicilia, con poteri occulti che ti ostacolano. Poteri occulti che io, in quanto tali, non ho mai visto, ma che, a giudicare da quello che prospettano gli ispettori della Commissione di accesso agli atti del Comune di Salemi - che avrebbe chiesto lo scioglimento del consiglio per supposti «condizionamenti mafiosi» - ci sono. Proprio per questo mi rendo conto di essere in pericolo e di non volere continuare a operare così.
Per questo mi dimetto da sindaco. Sono sollevato e felice di potere tornare al Nord. Constato, con rammarico, il fallimento di chiunque vuole tentare strade diverse.
In oltre 3 anni di sindaco non sono mai stato condizionato. Posso solo dire di avere sbagliato a candidarmi, e che l'ho fatto convinto dei valori e della civiltà della Sicilia. Ieri il sindaco di Gela Rosario Crocetta, europarlamentare, mi ha detto: «Ma chi te l'ha fatto fare ?». Ma non posso dimenticare che Agnese Borsellino mi ha definito «missionario». Ora la capisco e doppiamente la ringrazio. Sono fiero di quel che ho fatto. Sono fiero di essere stato chiamato, in una intera pagina di Le Monde, «Le maitre des ruines». Combatto la mafia dove c'è; non la cerco e non la evoco dove non c'è.
Si evoca Giammarinaro, ex parlamentare della Dc oggi sotto inchiesta per fatti che riguardano la sanità, in anni passati, e non l'attività del Comune durante il mio mandato. Ma ci si dimentica di dire che Giammarinaro non è indagato per mafia. Un paradosso che solo in Sicilia si può verificare, e cioè subire il «condizionamento mafioso» di un soggetto che non lo è.
Le uniche infiltrazioni di cui mi sia mai reso conto sono quelle dell'influenza culturale di cui mi sono occupato per la città. Per il resto, ringrazio la Commissione per avermi aperto gli occhi su situazioni che loro avranno visto. A Salemi ho conosciuto solo persone oneste, laboriose, appassionate e abbandonate, dallo Stato e dalla mafia. Non devo difendermi da nessuna accusa. Sarà opportuno ricordare che nell'indagine «Salus Iniqua» vengo riconosciuto «parte lesa».
Verifico però l'impossibilità, in Sicilia, di fare azioni nuove e diverse. Rilevo inoltre la capacità di valutazione profondamente difforme tra chi prospetta scenari di condizionamento mafioso - di cui non ho mai avuto percezione - e quello che abbiamo fatto, che è sotto gli occhi di tutti, ammirato dal mondo intero: mostre, festival, nuovi musei, un rinascimento culturale che non ha eguali in Europa nel rapporto tra risorse impegnate e riscontro mediatico e attenzione di visitatori di ogni parte del mondo.
I commissari hanno visto altro, io invece ho amministrato la città nel segno della cultura. Aspetto, comunque, che mi si indichino quali siano gli atti della mia amministrazione «condizionati» dalla mafia. Se, dunque, questa è la prospettiva che vogliono avallare, non vedo perché io debba mettermi di traverso. Ma non aspetterò di essere allontanato con un atto arbitrario e iniquo. Accetto anche quello che non capisco, ma non mi piego. Il Ministero degli Interni dovrà documentare le ipotesi degli ispettori. Non mi accontenterò di umori, arie, atmosfere, ammiccamenti, insinuazioni.
Mercoledì incontrerò il ministro dell'Interno per manifestarle il mio compiacimento. Le dirò che ringrazio gli ispettori prefettizi che mi hanno rivelato forze occulte che mi minacciavano. Certo, erano così occulte che io non le ho riconosciute.
Dove c'è povertà, dove c'è disoccupazione, dove l'economia è ferma, quasi ovunque in Sicilia, con gravi patologie e sistematiche mortificazioni dell'agricoltura, la disonestà e la propensione al crimine sono inevitabili: e lo Stato combatte contro le patologie che genera. In più, per dare la misura della propria efficienza e severità contro la criminalità organizzata (che si dice organizzata, proprio perché non è organizzato lo Stato a garantire il benessere dei cittadini), si moltiplicano inchieste e operazioni di repressione della polizia, con le più variopinte denominazioni: «Salus iniqua» o «Campus belli». Ho più volte denunciato la natura criminale dell'invenzione di reati inesistenti con l'obiettivo di esaltare l'impegno, quando non l'eroismo, degli inquirenti, e di chi invoca, in situazioni sempre scivolose, «tolleranza zero».
Sono convinto che per la Sicilia non ci sia speranza: la lotta alla mafia è l'unico elemento su cui si muove la dialettica politica, strumentalmente. Per il resto ogni buona azione, ogni slancio, ogni entusiasmo, sono inutili. Ho cercato di fare l'amministratore valorizzando la dignità culturale di Salemi, la sua storia. Ma l'unica cosa per cui se ne parla oggi, vigliaccamente, è inestinguibile evocazione mafiosa. Per converso io, dei supposti mafiosi ho detto che essi esistono in quanto fanno, non in quanto sono.
Essere mafiosi non è un dato ontologico: se non lo fai, non lo sei.

E a Salemi, durante il mio mandato, nessuno lo ha fatto. Nessuno. Accettare di essere chiamati mafiosi è la vera vittoria della mafia. Che domina anche dove non c'è. Nella mente di quelli che la vedono. E forse la rimpiangono.

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