
Una sorta di dannazione, una coazione a ripetere destinata a mettere la Procura della Repubblica in rotta di collisione con quanto di più visibile c'è dell'animo milanese: il mattone, la vocazione irrefrenabile a costruire, incontenibile e orgogliosa. Ieri è crollato il punto più alto mai raggiunto da questa incontinenza, l'insegna delle Generali svettante sulla Torre Hadid a Citylife. Ed inevitabile arriva quasi in diretta l'annuncio dell'inchiesta della Procura, ipotesi di reato crollo colposo, affidata al pubblico ministero di turno Francesca Celle sotto la supervisione del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e del grande capo, il procuratore Marcello Viola. Ora si andrà a scavare se in quella determinazione di apparire, di marchiare lo skyline della città con l'insegna di un potere forte, ci si sia dimenticati di fare le cose come si deve. Anche se la risposta appare ovvia fin da subito, qualcosa non ha funzionato nel progettare o nel realizzare. O magari in entrambe le fasi.
Saranno i vigili del fuoco a relazionare la pm Celle appena possibile, finito il sopralluogo alla vertiginosa quota di centonovantadue metri. Ma è chiaro che prima di tirare le fila dell'indagine passerà molto tempo, perché ci si dovrà fare largo tra perizie e controperizie, in un contesto in cui nessuno vorrà prendersi la colpa di un disastro che non ha fatto morti, né feriti e che però una vittima l'ha fatta sicuramente ed è l'immagine di chi ha voluto e permesso che gli enormi quadrilateri rossi svettassero nel cielo milanese, sulla strada che lo sguardo prima nelle giornate terse viaggiava senza ostacoli fino al Monte Rosa.
Ingegneria delle costruzioni, ingegneria dei materiali: questi sono i settori specialistici in cui la Procura si accinge a cercare i consulenti per spiegare lo schianto. È per alcuni aspetti il remake di un'altra indagine su un'altra torre, il grattacielo di via Antonini arso come uno zolfanello quattro estati fa. E anche lì fu battaglia di perizie, con la Procura a fare da arbitro con un faro conduttore: cose simili non accadono per caso, dietro c'è per forza la colpa dell'uomo. Anche a City Life, come in via Antonini, a quelle colpe la Procura è decisa a dare dei nomi, oscuri o brillanti che siano.
Il problema è che anche così si torna a scavare intorno al "modello Milano", la facilità vera o presunta in cui si declina sotto la Madonnina il verbo del "fare": proprio lo stesso tema che ha mosso le indagini sull'urbanistica, sulle volumetrie moltiplicate a colpi di autocertificazioni. Le lacerazioni che le inchieste volute da Marcello Viola hanno prodotto nei rapporti tra la Procura e l'amministrazione cittadina sono senza precedenti e altrettanto inedita è la saldatura compatta tra mondo della politica, delle professioni e delle aziende contro l'offensiva giudiziaria. Da quello scontro la Procura è uscita vincente, del decreto Salva Milano non si parla più, buona parte delle inchieste vanno verso la conclusione e porteranno sul banco degli imputati nomi blasonati.
Ora, a movimentare e ampliare lo scenario, arriva l'inchiesta sullo spettacolare crollo dell'insegna della Torre Hadid. Che, visto il modus operandi della Procura, non riguarderà solo come e da chi sia stata realizzata la grande insegna: ma anche chi l'abbia autorizzata e quali controlli siano stati effettuati.