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Torsello è tornato a casa: «Grazie Italia»

Nessun riscatto per il rilascio, ma beni umanitari, una parte dei quali è andata alla banda dei rapitori

Fausto Biloslavo

«Grazie Italia», sono state le prime parole di Gabriele Torsello una volta sceso dall’aereo che lo ha riportato a casa dopo tre settimane di dura prigionia in Afghanistan. Per la sua liberazione non è stato pagato un riscatto vero e proprio, ma sono stati dati aiuti alla popolazione locale, parte dei quali finiranno nelle mani dei sequestratori.
Dopo essere partito all’alba da Kabul, il fotografo pugliese è atterrato ieri mattina alle 12.48 all’aeroporto romano di Ciampino con un Falcon della presidenza del Consiglio. Lo attendevano i cugini e una zia. Gli altri familiari stavano organizzando la festa ad Alessano, il paese in provincia di Lecce dove il freelance è nato. Sorridente, con la tunica e i pantaloni a sbuffo, tipico vestito afghano, e un paio di sandali, Gabriele ha detto davanti alle telecamere: «Sto bene, grazie Italia». Poi è stato portato davanti ai pm Franco Ionta, Erminio Amelio e Pietro Saviotti, che hanno aperto un’inchiesta sul sequestro.
I carcerieri di Torsello erano una decina e probabilmente lo aspettavano al varco in quanto occidentale. Non a caso, appena preso l’ostaggio, hanno parlato di Musa Qala, l’epicentro degli scontri fra talebani e truppe britanniche dove il fotoreporter aveva scattato fotografie. Dopo due giorni, però, gli anziani del villaggio gli avevano chiesto di andarsene, probabilmente consapevoli del pericolo. «Chi sono i miei sequestratori? Non ne ho la più pallida idea», ha detto Gabriele rispondendo ai giornalisti al termine dell'interrogatorio condotto nella procura di Roma. Con gli uomini della banda che gli portavano da mangiare cercava di comunicare in pasthun o in urdu. Quest’ultimo idioma viene parlato nella zona tribale pachistana, a ridosso del confine afghano, retrovia dei talebani e dei resti di Al Qaida. Per quattro volte ha cambiato luogo di prigionia.
Nelle ultime ore, prima della liberazione, era entrato in gioco anche il discusso miliardario kosovaro Bejet Pacolli, ex marito di Anna Oxa. Un suo contatto afghano, già utilizzato nel negoziato per far liberare tre funzionari dell’Onu sequestrati nel 2004 a Kabul, lo avrebbe chiamato offrendogli l’ostaggio. Nel caso di due anni fa un gruppo scissionista dei talebani, Jaish-i-Muslim (l’Esercito dei musulmani) aveva rapito e alla fine rilasciato gli ostaggi grazie all’intervento di un afghano che viveva nella zona tribale pachistana.
Torsello era riuscito a far vedere ai sequestratori le foto scattate in Afghanistan e riversate sul suo computer senza convincerli della propria buona fede. Anche la sua conversione all’Islam è servita poco. «Ho pregato cinque volte al giorno», ha detto Gabriele ai magistrati. Inoltre snocciolava un tazbè, un rosario musulmano, che lo aiutava «a stare calmo». Non sapeva nulla dell’imminente liberazione ottenuta non certo per buona volontà.
Il sottosegretario alla Giustizia Alberto Maritati ha ribadito ieri che «non è stato pagato un riscatto per la liberazione del reporter, ma è stato dato qualcosa per le popolazioni locali». Maritati non ha voluto specificare se si sia trattato di denaro o di generi alimentari e medicinali. Talvolta il riscatto viene «pagato» attraverso progetti umanitari, come piccoli centri di primo soccorso o canali di irrigazione. In altri casi vengono «regalati» beni, per esempio dei fuoristrada. In Irak, per il rilascio delle due Simone, erano stati curati anche dei bambini e dei guerriglieri feriti nel triangolo sunnita. Stesso discorso potrebbe avvenire nella provincia di Helmand, dove Torsello è stato sequestrato e dove si trova l’ospedale di Emergency, centro nevralgico delle trattative per il rilascio dell’italiano.
Ieri sera ad Alessano, paese di 6000 anime, lo aspettava la banda, 500 persone ed uno scrosciante applauso. I familiari hanno organizzato una cena di pesce come lo stesso Gabriele aveva chiesto e il padre Marcello lo ha abbracciato a lungo.

Poi il fotografo ha preso in braccio il piccolo Gabriele, il figlio di 4 anni, che non vedeva da mesi.

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