Tortura i familiari per obbligarli a pregare

INCUBO La donna l’anno scorso fuggì di casa con i bambini. E raccontò tutto ai carabinieri

Tortura i familiari per obbligarli a pregare

Bologna Ha reso la vita impossibile alla moglie e ai tre figli, con violenze fisiche e psicologiche per una dozzina d’anni, eppure non sconterà neanche un giorno di carcere. Un marocchino di 45 anni, Abdennebi B., abitante a Sasso Marconi, sull’Appennino bolognese, ha patteggiato a due anni di reclusione. Essendo incensurato, non andrà in prigione. Seguita da Il Resto del Carlino, la vicenda rischiava di finire in tragedia, come Hina a Brescia, nel 2006, e Sanaa a Pordenone, il mese scorso: emerse il 23 marzo del 2008, con l’ultima aggressione. La moglie Laila, 39 anni, scappò di casa assieme ai ragazzini, presentando denuncia ai carabinieri. Emerse che le prime vessazioni risalivano al ’96, addirittura, quando la donna fu costretta alla fuga per la prima volta, e toccarono soprattutto i figli: secchiate d’acqua fredda di notte, capelli tagliati a zero, botte per chi non andava in moschea, un filo elettrico stretto attorno al collo dal figlio più grande che si ribellava agli insegnamenti.
Un anno di indagini, a giugno il pm Maria Gabriella Tavano aveva ottenuto il rinvio a giudizio di Abdennebi per maltrattamenti in famiglia, minacce e calunnia nei confronti del cognato Ali. La scorsa settimana il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Bologna, Letizio Magliaro, ha concesso il patteggiamento. I tre figli oggi hanno 17, dodici e dieci anni, dalla primavera 2008 sono tranquilli, in una comunità protetta del Bolognese. L’uomo si comportava da padrone, impediva alla moglie di uscire di casa da sola: «Ci devo essere sempre io, con te. Oppure nostro figlio maggiore. E ricordati sempre il burqa. A lavorare ci sono io, tu devi stare a casa».
Con lei e i figli il marocchino si faceva intendere con pugni e schiaffi, cinture e bastoni di legno, accendino e coltello. Due estati fa il primogenito, allora 15enne, voleva tenere i capelli lunghi, si ritrovò stretto al collo il filo del rasoio elettrico, diventò cianotico per mancanza d’ossigeno. Evidenti i segni del tentativo di strangolamento. Per una settimana il ragazzo restò a casa, non gli fu consentito di farsi visitare dal medico.
Un anno e mezzo fa una discussione per motivi religiosi: Abdennedi minacciò il fratello della moglie, che fuggì calandosi da una finestra. L’extracomunitario integralista inseguì la donna e il figlio maggiore con un coltello da cucina, lei se ne andò. Quattro giorni dopo Abdennebi denunciò il cognato ai carabinieri, per cercare di rovesciare la verità. All’udienza preliminare l’avvocato di parte civile Stefano Bordoni si è opposto al patteggiamento, non è stato ascoltato. «La sentenza è inopportuna e non proporzionata alla gravità dei fatti - racconta -. Oggi presento istanza al procuratore capo perché rivaluti il caso e lo impugni in Cassazione. Anzi è strano che l’indagato non sia stato subito sottoposto a misura cautelare, appena emersero le aggressioni».
«Abdennebi - commenta l’imam di Bologna, un dentista egiziano, Said Nasr Mahdy - mi raccontò la sua versione, gli dissi che aveva sbagliato tutto. L’ho visto spesso in moschea. Dio ha ordinato alle musulmane di coprire tutto il corpo tranne il volto e le mani ma se mia moglie non vuole coprirsi i capelli non posso obbligarla. Le cinque preghiere durante il giorno sono obbligatorie, non quella della notte. Con i figli serve pazienza, non costringerli, tanto meno picchiare. E il profeta aveva i capelli lunghi». Persino l'imam si stupisce che il marocchino non faccia un giorno di carcere. «L’ha stabilito la legge italiana, che dobbiamo seguire anche noi, visto che siamo qui».

Il parlamentare del Pdl Fabio Garagnani parla di magistratura politicizzata: «Certi giudici vedono sempre e comunque una vittima nell’immigrato. Questa sentenza è scandalosa: presenterò un’interpellanza al governo, chiedendo al ministro Alfano di intervenire».

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