 
"Sto per morire. Portatemi a Napoli". E se l'ultimo pensiero, le parole estreme sono state per la sua città, era fatale che proprio il capoluogo partenopeo celebrasse l'intimo, ancor oggi vivissimo legame che unisce Napoli alla più proverbiale fra le sue "maschere". Troneggia sulla facciata di Palazzo Reale l'inconfondibile profilo del principe Antonio de Curtis; e non a caso s'intitola "Totò e la sua Napoli" l'emozionante mostra che fino al 25 gennaio (ma poi in tournée fino a Brooklyn, New York) confermerà il vincolo viscerale che, nato al rione Sanità, si concluse coll'imponente funerale alla Basilica del Carmine (duecentomila persone, tra quelle in piazza e quelle al casello dell'autostrada Roma-Napoli, per il passaggio del corteo funebre). Introdotti dalle immagini del "Pazzariello" che ne L'oro di Napoli di De Sica guida un corteo di popolo ("Così come guiderà i visitatori lungo le undici sezioni della mostra", commenta Alessandro Nicosia, curatore assieme a Marino Niola) foto, manifesti, oggetti, giornali, filmati e costumi offrono un irresistibile crescendo emotivo in ogni angolo del "pianetà Totò".
Si parte dall'infanzia "fatta di pochi sorrisi e nessuna tenerezza" con la foto di lui undicenne, l'ovale del viso non ancora deformato nella tipica asimmetrìa dal cazzotto di un compagno (e stilizzato in una preziosa caricatura di Nino Za); si passa per il rarissimo "Registro dei soldati di leva anno 1898" (con Totò soldato che già si prova nei primi sberleffi, in groppa a un cavalluccio a dondolo) e lungo i gloriosi anni della rivista, grazie a manifesti e copioni dei leggendari spettacoli firmati Michele Galdieri, e in tandem con Anna Magnani. Il debutto cinematografico è testimoniato dal manoscritto originale di San Giovanni decollato, a firma Cesare Zavattini; lo storico sketch del vagone letto documentato dall'originale "piano di lavorazione" (prendete nota, cinefili incalliti: fu girato in quattro giorni, dal 10 al 14 dicembre 1951). Ci sono poi le poesie e le canzoni: mentre in sottofondo la voce di Roberto Murolo modula la più celebre di tutte (Malafemmena), manoscritti di pugno dello stesso principe vanno dall'arcinota 'A livella al prezioso inedito fornito come molte altre rarità - dalla nipote Elena Anticoli de Curtis: Quanno me truovo all'estero.
Un'emozione tutta speciale la riservano i costumi originali. Si riconoscono a colpo d'occhio la blusa a pois di Pinocchio con cui, in Totò a colori, il principe faceva la celebre danza disarticolata; e poi la giacchetta aristocartica di Miseria e nobiltà, il caftano e fez del Turco napoletano. Stupisce la bellezza sfacciata delle numerose donne di Totò, che sorridono dalle loro foto in bianco e nero: la soubrette con taglio "alla maschietta" Liliana Castagnola, che si suicidò per lui; la fulgida moglie Diana, da cui si separò "per troppo amore"; l'adorata figlia Liliana, così chiamata a parziale risarcimento per la tragica morte di quell'antico amore; la compagna degli ultimi anni, Miss Cheescake Franca Faldini, che il principe notò sulla copertina di una rivista, per la quale era stata fotografata dopo l'elezione a quel titolo.
Può far sorridere l'ossessione nobiliare, testimoniata dagli stemmi con cui la Consulta Araldica lo confermò Principe di Bisanzio; "ma fu in fondo una sorta di risarcimento nota Niola, indulgente - agli anni magri della povertà e della fame. Non a caso il principe parlava di Totò in terza persona: lo separava nettamente da sé stesso. E a Lello Bersani, che lo intervistava a casa sua (mostriamo anche questo filmato) consigliava: "Lo vada a cercare in cucina. Io lo tengo confinato lì dentro. E ha il divieto di uscire senza il mio permesso".
Innumerevoli le foto curiose, tutte legate all'adorata città natale. Totò che vota, deponendo la scheda nell'urna; Totò che addenta una forchettata di spaghetti, seduto al celebre ristorante La Bersagliera; Totò preso d'assalto quando, seduto nella sua Fiat 1400 con autista, girava per i vicoli per distribuire mance ai più bisognosi. Ma il culmine emotivo si raggiunge davanti alle immagini dei tre funerali. Tanti infatti ne ebbe, il principe. Il primo a Roma, nella chiesa di Sant'Eugenio ai Parioli. Il secondo a Napoli, al Carmine. Il terzo voluto dal potente "guappo" Luigi Campoluongo, detto Nase e cane, che non avendo potuto presenziare al primo, ne pretese un altro, con tanto di catafalco e bara. Vuota, naturalmente.
E a sessant'anni di distanza ancora procura un brivido di commozione l'audio originale dell'orazione funebre, tenuta davanti a centomila napoletani, da un commosso Nino Taranto. "Oggi hai fatto l'ultimo tutto esaurito della tua carriera. Tu, maestro del buonumore, stavolta ci hai fatto piangere. Addio, amico mio! Addio!".