Il Pupone quasi papà vorrebbe il trionfo, ma è pareggio abbaiato come sempre. E quello del Totti incinto è l’unico momento light (anche se da pajata più che da sushi) del solito derby da invasati. Una delle partite più dure d’Europa. Con fallacci e insulti digrignati a fil di caviglia. E la solita moneta in faccia all’arbitro. Memore della campagna di stampa con cui fu massacrato Frisk, Paparesta decide di far finta di niente. In arrivo una multa.
Anche la Lazio ha i suoi re-gladiatori. In assenza di Di Canio (derby da buonista veltroniano, sta invecchiando) il maggior boato della curva è per Chinaglia, trasformatosi in un costruttore di sogni a buon mercato. L’ultimo è degno di un bambino che gioca in cortile a spararla grossa: cinquecento milioni di miliardi pronti ad attraversare l’oceano Atlantico (tratta New York-Fiumicino) per comprare la società da Claudio Lotito.
Quando si svegliano, i tifosi della Lazio si ritrovano comunque in una situazione niente male: davanti alla Roma, con un pareggio rimediato con onore e con un bomber (Rocchi) che non sarà ciclopico come il Chinaglia di ieri, ma pare più concreto di quello di oggi. Archiviato il derby, Roma può finalmente tornare a interrogarsi sul nome del figlio di Totti. A Ilary piaceva Giordano. Bocciato. Benedetta ragazza, ora eviti di proporre Giorgione.
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