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Totti lancia la sfida «Pericolo Zizou? Io l’ho già battuto»

«Ricordo quando passammo a Madrid con la Roma... Ma attenti ad Henry. Lo champagne? Meglio lo spumante». E anche per il romanista quello di oggi può essere il passo d’addio alla nazionale

nostro inviato a Berlino
Ha comprato venti biglietti della finale, spendendo qualche migliaia di euro. Ma è l’occasione più grande della sua carriera e vuole accanto a sé i parenti più stretti e gli amici più cari. Ma anche la moglie Ilary e il piccolo Cristian, che per la prima volta (e che volta!) metterà piede in uno stadio. Per Francesco Totti il match con la Francia a Berlino è qualcosa di più che una finale mondiale. È il confronto stellare con Zidane, è il palcoscenico che non ha mai avuto, è l’occasione di riscatto per tutte le critiche che gli sono piovute addosso, ma anche la partita per cancellare definitivamente quella macchia legata all’Europeo portoghese. Ma potrebbe anche essere il suo addio alla Nazionale, che più volte ha paventato nei mesi precedenti al Mondiale tedesco. Alzare la coppa del Mondo potrebbe fargli cambiare idea, la Roma di fede giallorossa e l’intero popolo di tifosi azzurri si augurano che lui ci ripensi.
In questi giorni di avvicinamento alla finale, nella sua testa sono passate le immagini della sofferenza e del lavoro che gli ha permesso di arrivare in Germania. Se diventasse campione del mondo, si griderebbe al miracolo sportivo e si applaudirebbe senza sosta alla voglia matta di Francesco di tenersi aggrappato in tutti i modi all’avventura tedesca.
Le immagini della caviglia che fa crac in un soleggiato pomeriggio romano di febbraio sono ormai lontane. Stasera cinquanta telecamere, tra le quali una appesa a cento metri di altezza, seguiranno le sue gesta e quelle degli altri 21 giocatori in campo. Tutto questo nello scenario ricco di fascino dell’Olympiastadion e della Berlino di cui si innamorò l’estate di sei anni fa quando giocò un paio di amichevoli con la Roma. E quando il traffico andò in tilt per una sua visita allo store dello sponsor. Lui vuole fare come Bruno Conti, la bandiera romanista che alzò quella Coppa a Madrid. Città che evoca una delle sue imprese: quel gol al Real di Zidane nella Champions il 30 ottobre 2002 che permise di espugnare il Bernabeu.
E Zidane – che lascerà il calcio dopo la finale di Berlino - se lo ritroverà davanti stasera nella sfida stellare tra due dei numeri dieci più forti del mondo. Così diversi per gioco e per carattere. Uno stimolo in più per far bene. Un altro dieci importante, Del Piero, spera che nell’incrocio di strade tra fuoriclasse, la nostra sia quella del successo. Il romanista non fa una piega: «L’ho già battuto, me lo ricordo bene – sottolinea Totti, ripensando a quella serata di quasi cinque anni fa ma forse anche alla sfida con la Juve in campionato nel 2000, vinta dalla Roma per 2-0 -. È pericoloso, ma c’è anche Henry». È tranquillo quando gli descrivono gli avversari come favoriti. «Se siamo qui significa che le possibilità sono cinquanta e cinquanta», dice sorridendo mentre firma cappellini bianchi della Nazionale al termine dell’allenamento della vigilia. Perché per lui «lo spumante è meglio dello champagne, Italia e Francia sono una contro l’altra in ogni campo e devo dire che anche noi sentiamo molto questa rivalità e vogliamo prenderci una soddisfazione grandissima».
Anche lui era in campo in quel torrido 2 luglio del 2000 quando a Rotterdam i galletti ci strapparono l’Europeo al golden gol. E il gol, che sarebbe il decimo in azzurro, stavolta lo vorrebbe anche Totti: l’ultimo su azione lo segnò a Helsinki contro la Finlandia nel 2003 e lì c’erano l’allora fidanzata Ilary e il fratello Riccardo. Poi la doppietta con la Bielorussia a Parma, ma con calci da fermo. «Una mia rete? Ci proverò». Il Teamgeist dorato, la sfera della finale, che porta sotto il braccio è un segnale che a lui piacerebbe mettere il suo sigillo sulla finale. «Voi porterete il pallone e la Francia l’arbitro?», scherza qualcuno. Totti sorride sornione, in realtà ha deciso di conservare per ricordo uno di questi palloni autografato dagli azzurri. Con quel pallone vorrebbe regalare colpi di tacco e «cucchiai» per controbattere le «veroniche» e i doppi passi di Zizou.
I compagni parlano di ansia e tensione, c’è chi confessa di non riuscire a dormire. A lui è difficile strappare anche un piccolo segnale di nervosismo. Le domande su come sta, come si sente, cosa prova, lo inseguono per tutto il percorso dell’improvvisata zona mista di Meiderich. Lui regala risposte secche: «Benissimo», «Tutto a posto», ma poi cede per qualche secondo: «Speriamo di non sentire troppo la tensione». Ma è pronta la replica a Platini, secondo il quale dovremo aspettare il 2030 per battere la Francia: «Ha detto così? Beh, ci vediamo domani (oggi, ndr.)», dice forse mordendosi la lingua mentre l’espressione degli occhi rivela un pensiero più pepato.

L’appuntamento con la storia è arrivato, c’è solo da non farsi sfuggire l’attimo.

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